Simona Polvani in Disorientamento /Girare. Foto: Ludivine Allegue. Analog photography [Leica CL, f/5.6], Musée des Arts et Métiers (Parigi), 2016.

La poesia disorientamento / girare è stata scritta per la creazione di poesia sonora e performance site specific omonima.


disorientamento / girare

creazione di poesia sonora e performance site specific (2016)

Testo, voce e performance         Simona Polvani

Musica elettronica                       Frédéric Mathevet 

Kimono, realizzazione Valentina Lacmanovic, dipinto Ludivine Allegue Make-Up    Ovidiu Batista

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La performance Disorientamento/girare è stata creata in collaborazione con Ludivine Allegue e Valentina Lacmanovic, come prima parte della loro performance DISORIENT, e presentata il 3 e 4 dicembre 2016 al Musée National des Arts et Métiers durante il Festival Corps dessinant in risonanza con la mostra Machines à dessiner allestita in quei giorni al museo. Simona Polvani ha partecipato con la propria performance danzata il 4 dicembre, mentre la creazione di poesia sonora realizzata con il musicista Frédéric Mathevet ha introdotto DISORIENT sia il 3 che il 4 dicembre.

© Simona Polvani poesia disorientamento girare, 2016

La vita e la morte si tiene tutta assieme

Sul tronco del melograno

Il ramo folgorato dal sole – accartocciate già le foglie nella chioma di verdi screziati e metamorfosi 

di fiori arancio in pomi

L’uno ciò che sarà l’altro

L’autunno in piena estate

L’occhio che li ammira muove dalla gioia alla pena dalla pena alla gioia se solo sull’uno o sull’altro si sofferma

Quando in un unico sguardo entrambi li contempla e l’albero vede intero

– paradosso dell’animo – si rasserena

Nella morte prossima il frutto

© Simona Polvani Immagine&Piccola_forma 2020-2023

REST IN PEACE  

au pied de l’arbre 

dans l’écume des herbes

REST IN PEACE  

sans mort apparente 

seul le sommeil nu de mémoire

et le vent pour disperser les scories 

qui obstruent les lignes des veines

REST IN PEACE  

sans compter le temps

ni en secondes ni en jours

jusqu’à ce que neuve renaître à la verticale 

reprendre les trames des pas

même au bout de la nuit

la langue pleine de soleil

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Copyright © 2023 Simona Polvani, À bras le texte /Action_Autoportrait en reflet avec arbre /workinprogress (photo by iPhone) + Rest In Peace (poème)

Rest In Peace

ai piedi dell’albero

tra la schiuma d’erba


Rest In Peace

senza morte apparente

solo sonno nudo di memoria

e vento a disperdere le scorie 

che intasano le linee delle vene


Rest In Peace

senza contare il tempo

né in secondi né in giorni

sino a quando nuova rinascere 

alla verticale  riprendere le trame dei passi

anche nella notte la lingua piena di sole

 

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Copyright © 2023 Simona Polvani, Autoritratto con poesia_workinprogress (photo) + Rest In Peace (poesia)

je me mets en pot MI INVASO

c’est encore pousser LA GERMINAZIONE CONTINUA

racines MOVIMENTO

déplaçables DI RADICI

de plein gré A PIACIMENTO

Copyright © 2023 Simona Polvani, #EUP01_09_avril_2023 (photo + poème)

A l’heure de la poésie jardiner All’ora della poesia fare giardinaggio

planter transplanter s’agenouiller composer se plier respirer enterrer arroser contempler

piantare trapiantare inginocchiarsi comporre piegarsi respirare sotterrare annaffiare contemplare

Copyright © 2022 Simona Polvani, A l’heure la poésie, jardiner (photo + poème)

di SIMONA POLVANI

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I. PROLOGO

AGLIANA 05_09_2021

Non scrivo di televisione né di musica, solitamente. Scrivo di arti performative e di arte contemporanea. Scrivo di performance. E l’atto di scrivere non avviene mai senza aver visto in live un(’)artista e averci condiviso uno spazio d’aria.Il testo che leggerete nasce in assenza di tale spazio e di live. È frutto di una posizione equivoca, quella di una spettatrice televisiva che guarda una performance musicale in una nota kermesse canora italiana, il Festival di Sanremo. Pur consapevole di essere di fronte a uno schermo e a una performance televisivi, da una parte prova a bucarlo, come lo buca l’artista di cui ha deciso di scrivere, dall’altra a trattarla come una performance teatrale live. Come se i miei occhi potessero muoversi davvero su tutti i lati di un palcoscenico, gettarcisi dentro, coglierne ed isolarne i dettagli, e non fosse invece l’occhio della telecamera, inquadrando, a stabilire e imporre il punto di vista, nella logica di una ricerca di effetti che “niente pare davvero far vedere”, almeno secondo la libertà di sguardo della spettatrice teatrale che sono. Si tratta di un esperimento da equilibrista, frutto di un periodo – pare esagerato ancora definirlo epoca – in cui la pandemia del covid-19 ci ha privati dello spazio del respiro comune in ogni ambito e in particolare nel mondo dello spettacolo e dell’arte, condannati a prolungate chiusure. L’urgenza di scriverne, nella procrastinazione di un live diventato impossibile, si è diluita ma non persa. Piegata come un giunco – strategia di sopravvivenza che ho rivaluto –, essa si è radicata nel disegno di un ritratto d’artista, a distanza, anche temporale. Lasciato decantare il diktat dell’attualità, è il caso di dire “chi se ne frega”. Dalla primavera riemerge adesso, en septembre.

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II. IL CORPO

PARIGI 22_04_2021

”È giunto il nostro momento. La nostra stessa fine in questa strana fiaba. La più grande storia raccontata mai. Maschere dissimili recitano per il compimento della stessa grande opera. Tragedia e commedia. Essenza ed esistenza. Intesa e incomprensione. Elementi di un’orchestra troppo grande per essere compresa da comuni mortali. È giunto il nostro momento. Colpevoli, innocenti. Attori, uditori. Santi, peccatori. Tutti insieme sulla stessa strada di stelle. Di fronte alle porte del Paradiso. Tutti con la stessa carne debole. La stessa rosa che ci trafigge il petto. Insieme, inginocchiati davanti al sipario della vita. E così sia. Dio benedica Solo Noi Esseri Umani”

(Achille Lauro, Quinto quadro, Sanremo 2021)

“Ceci n’est pas une pipe” (Questa non è una pipa), scriveva Magritte nel suo celebre dipinto La Trahison des image(1928-29), sotto la raffigurazione di una pipa, creando a prima vista un paradosso, mentre affermava il principio che la rappresentazione pittorica di un oggetto non è l’oggetto stesso.

“Performance teatrali in quattro minuti” e “quadri”, tra arte figurativa e tableau vivant, definisce Achille Lauro le sue quattro esibizioni musicali di Sanremo 2020 e le cinque creazioni – una per ogni sera del festival – che ha realizzato come ospite d’onore per Sanremo 2021.

Di riferimenti al teatro sono disseminate le sue canzoni, dove si incontra persino la parola “teatralità” (brano Come me, album Lauro, 2021). Del resto, il suo romanzo di esordio si intitolava Sono io Amleto (Rizzoli, 2018). Può apparire rischioso avventurarci in questa seppur breve analisi dal punto di vista scenico di performance – nel senso largo di “esibizione”, “spettacolo” – la cui natura prima è incontestabilmente musicale, e che sono concepite all’interno di un festival che è un programma televisivo. 

Tuttavia, questa rivendicazione di genere artistico da parte dell’artista romano, e quindi in un certo senso di sconfinamento del genere, assieme ad alcuni elementi scenici propri delle sue performance, ci sembrano argomenti legittimi per interessarsi alle sue esibizioni anche dal punto di vista teatrale e performativo.

SANREMO 2020, SLIDES DI PERSONAGGI

Che la musica possa essere al centro di performance teatrali, come filo conduttore (trama e personaggio) e non semplicemente come elemento di sottolineatura o generatore di atmosfere, non è una novità. Il riuscitissimo spettacolo MDLSX (2015) dei Motus si snoda nell’esperimento di un Dj/Vj set mirabolante della performer Silvia Calderoni. “Performance-Mostro”, secondo la definizione dai suoi autori, essa si propone come “un inno alla libertà di divenire, al gender b(l)ending, all’essere altro dai confini del corpo, dal colore della pelle, dalla nazionalità imposta, dalla territorialità forzata, dall’appartenenza a una Patria”. Temi e intenti che ritroveremo nelle performance di Achille Lauro, così come l’idea formale della fuoriuscita dai generi, anche artistici. Mentre Silvia Calderoni nel perseguimento di tali visioni introduce in MDLSX la musica come elemento di rottura della performance teatrale, Achille Lauro fa un movimento inverso. Nelle performance musicali sperimenta una ricerca sulla teatralità, cimentandosi in una forma di spettacolo basata sul travestimento. Per quanto in Italia già introdotta quaranta anni fa da Renato Zero, come lo stesso Achille Lauro riconosce, essa rompe con l’esibizione musicale classica nell’ambito del rock-pop.

Per il brano Me ne frego, proposto a Sanremo 2020 in duo con il chitarrista e producer Boss Doms, Achille Lauro, assieme al suo art director Nicolò Cerioni ( e al suo produttore Angelo Calculli), costruisce una performance in cui nella ripetizione pressoché invariata ogni sera della partizione gestuale, evoca, senza recitarli, San Francesco, David Bowie/Ziggy Sturdust (già maestro sublime del glam rock), la Marchesa Luisa Casati Stampa e la regina Elisabetta I Tudor. Si tratta di figure scelte come emblemi di rottura e anticonformismo, funzionali a un discorso sulla libertà e la liberazione dagli stereotipi di genere. Ognuno dei personaggi è rappresentato attraverso un riferimento iconografico e/o gestuale (per esempio la spogliazione del mantello per San Francesco), e incarnato in un costume specifico che agisce come catalizzatore scenico, frutto della collaborazione con lo stilista Alessandro Michele per Gucci. L’iconica Maison italiana ha fatto della fluidità di genere l’ossatura delle sue ultime collezioni, interventi nel mondo dell’arte e scelta di testimonial: Achille Lauro e la stessa Silvia Calderoni, che è protagonista del film in sette episodi Ouverture Of Something That Never Endeddiretto dal regista pluripremiato Gus Van Sant e da Alessandro Michele. I costumi firmati Gucci per le performance di Lauro non sono solo glamour, ma strepitosamente belli. Grazie alla loro strutturazione architettonica e alle scelte cromatiche e materiche, contribuiscono a introdurre una componente plastica nella dimensione scenica, tra pittura e scultura. Mai didascalici, estraendo un motivo simbolico emblematico, lo reinterpretano e attualizzano, in una miscela di passato e presente, segni femminili e maschili. Reinventano un’immagine futura sui generis. Nessun personaggio, nella stratificazione, appare univoco. La trasparenza delle citazioni impedisce inoltre che Achille Lauro in scena sia sempre “solo se stesso”. Come egli dichiara, non si tratta infatti “di interpretare un personaggio, ma di indossarne gli abiti”. Tale assenza di personificazione, riconoscibile, fa sì che il corpo di Lauro e la sua identità restino visibili e presenti oltre il costume. Ne risulta una performance ibrida, per sovrapposizioni, dall’apparenza fluida e magnetica, in cui coesiste il personaggio evocato con la persona – anche in senso di maschera – di Achille Lauro, performer, rock star che indossa l’abito di un’altra figura.

La presenza di Boss Doms, partner in crime di Lauro, diventa il fulcro del discorso sui generi. Il bacio che con un gesto finanche rapace, l’artista sera dopo sera imprime sulla bocca di Boss Doms, oltre a concretizzare la manifestazione di un desiderio omosessuale sul palco sanremese, costituisce un rituale di smarcamento rispetto ad assegnazioni definite di genere sessuale, tanto più nel rifiuto categorico di Lauro di identificarsi in un orientamento sessuale definito come etero o omossessuale o nell’identità binaria.

SANREMO 2021, TABLEAUX VIVANTS 

Per Sanremo 2021, il dispositivo si struttura attorno a una costruzione scenico-drammaturgica che intende acquisire maggiore complessità. Innanzi tutto, non si tratta più di “indossare” un personaggio diverso per lo stesso brano musicale, ma di costruire cinque tableaux vivants per altrettanti pezzi rappresentativi dei generi musicali del glam rock, del rock & roll, del pop, del punk, attraverso canzoni del repertorio dello stesso Lauro: Solo noi per il glam rock; Bam Bam Twist per il rock & roll, Penelope per il pop, Me ne frego per il punk, ed infine C’est la vie come omaggio alla atmosfere orchestrali che appassionano Lauro. La finalità è cogliere “l’essenza” di tali generi, ricorrendo a una costruzione allegorica. Per realizzarla, Achille Lauro, accompagnato ancora da Nicolò Cerioni, ricorre alla produzione, combinazione e sovrapposizione di immagini, che sono a loro volta il prodotto di un procedimento citazionale, da sempre la sua cifra poietica ed estetica anche nelle creazioni musicali. 

La visione allegorica, per quanto trovi in Lauro il suo centro, non è più solo “indossata” da lui, attraverso i costumi, alcuni particolarmente sorprendenti, creati ancora da Alessandro Michele/Gucci. Essa è condivisa e disseminata tra gli artisti ospiti invitati a recitare, danzare, cantare, suonare nei quadri: Monica Guerritore, Claudio Santamaria e Francesca Barra, Emma Marrone, Fiorello, Boss Doms, il danzatore Giacomo Castellana. Figure reali del panorama musicale o fittizie della mitologia greca, spezzoni di film, opere dell’arte classica e contemporanea, simboli della religione cristiana, si iscrivono e sono portati, quindi, anche con verve ironica e a tratti iconoclasta, dai corpi di Lauro e degli altri artisti protagonisti. 

Senza voler ripercorrere i tanti giochi di rimandi presenti nei vari quadri, ci limitiamo a fornire alcuni elementi che permettano di considerare la pluralità di riferimenti e suggestioni che si intrecciano e stratificano nelle varie performance. Nel primo quadro, con una chioma azzurra sfrangiata, Achille Lauro rende omaggio al glam rock, indossando un costume da angelo combattente e Cupido. È una evocazione inequivocabile del personaggio del cantante Brian Slate, già ispirato a David Bowie, interpretato dall’etereo Jonathan Rhys Meyers, nel film capolavoro Velvet Goldmine (1998), che proprio del glam rock traccia la storia.Nel quadro dedicato al pop, Monica Guerritore recita un breve intenso monologo ispirato al mito di Penelope, rivisto in chiave femminista. Tutta la scena risulta ispirata all’epoca classica. All’interno di una scenografia di colonne antiche e alberi dorati, Lauro con peplo e corona d’alloro, interamente dipinto d’oro, in piedi su una stele, statuario e fragile a un tempo, duetta con Emma Marrone, anche lei tutta in oro. La coppia Claudio Santamaria e Francesca Barra mima Vincent Vega/John Travolta e Mia Wallace/Uma Thurman nel celebre twist del film Pulp Fiction, per il quadro sul rock & roll, mentre Lauro si cimenta nella citazione di Mina. Ispirandosi a una serie di foto della cantante, realizzate negli anni ’80 da Mario Balletti, ne riproduce trucco e acconciatura, giocando con una diavolesca lunghissima treccia rossa. Per il quadro sul punk di Me ne frego, Achille Lauro ritrova Boss Doms. In versione sposa, il primo, fluttua in un candido abito–nuvola di piume di struzzo e organze, imbracciando la bandiera italiana, come una nouvelle Liberté guidant le peuple di Delacroix. In tailleur bianco e ornato di velo nuziale, Boss Doms riceve il suo bacio, come a Sanremo 2020, a suggellare il connubio. La performance si vuole però anche omaggio a Sid Vicius dei Sex Pistols nella sua caustica interpretazione di My Way

Per quanto si ricorra certo ad alcuni processi di teatralizzazione, questa – ed è ciò che risulta interessante – non risulta mai completa, perché la maschera e i ruoli che Achille Lauro di volta in volta “recita” appaiono solo come una delle tante sfaccettature cangianti del suo corpo, al contempo impacciato, enigmatico, fragile e guerriero, e del suo volto imprendibile. Risalta l’energia pulsionale, che attraversa le interpretazioni. A volte incanalata in un’immobilità apparente, altre debordante in cascate, scivolate e rotolate a terra repentine, a cui ci hanno abituato molte star del rock e punk, appare in una partitura di gesti probabilmente prestabiliti, ma che non si organizzano in una coreografia millimetrata, lasciando spazio a un margine vitale di improvvisazione.

Dal punto di vista della composizione, ogni quadro è completato da un’opera video, in bianco e nero, che attraverso un processo di dissociazione, cristallizza come icona un momento della performance live di Achille Lauro, mentre la voce recita in sottofondo testi poetici, impregnati di immaginario teatrale. Definiti “lettere”, in forma di appello e preghiera rivolti al mondo come a un ipotetico Dio creatore dell’umanità, essi rappresentano i manifesti esistenziali e politici dei quadri.

L’iconografia religiosa cristiana, da sovvertire, attraversa le performance e segna anche i momenti di incursione dell’artista nel territorio della body art, di cui alcune pratiche di mutilazione sono ricreate fittiziamente a uso drammatico e spettacolare. Nel primo quadro, le lacrime di sangue grondanti sul viso dell’artista rimandano immediatamente alla lacrimazione della Madonnina di Civitavecchia – come Achille Lauro riconosce. Altri riferimenti ci paiono suggestivi. Ancora nel mondo del pop-rock, il sanguinamento portato in scena da Lady Gaga (MTV 2009). In quello della body art, in particolare di area romana – la stessa in cui Achille Lauro si è formato – un precedente pare costituito dalla performance Human Installations III (2009) di Kyrahm, in cui l’artista stilla dalle palpebre vero sangue. Nell’ultimo quadro, con la sua interpretazione suggestiva della canzone C’est la vie, Lauro si presenta con il petto trafitto come un ex voto da tre rose rosse e si offre agli insulti in sottofondo dei suoi haters. Il richiamo all’iconografia della Vergine addolorata, rappresentata con una rosa in petto e la spada, e insieme a gran parte della storia della body art, appare evidente. Ma anche in questo caso non si tratta che di una citazione. Mentre nella body art le mutilazioni e sofferenze che gli artisti si infliggono sono infatti reali, nel caso delle performance di Achille Lauro, si tratta di finzione scenica, creata grazie ai magistrali interventi di Andrea Lanza, esperto di special make-up per il cinema. Si realizza un “come se” – ciò che secondo Richard Schechner costituisce la differenza tra teatro e performance –, producendo sì un effetto spettacolare, ma riducendo in parte la portata dell’evento. Nel trompe l’oeil, la realtà risulta così una finzione, artificio.

PERFORMARE IL GENERE

Come per le performance a Sanremo 2020, anche per quelle di Sanremo 2021, ogni rappresentazione vale per sé, ma acquisisce senso come gesto e come visione unitaria. Non tutti i tableaux sono apparsi convincenti, dal punto di vista del dispositivo drammaturgico e dei suoi snodi. Debolezze risultano nella gestione della compresenza di situazioni sceniche di diversa natura (canto/danza/recitazione), anche a causa dei limiti di un palcoscenico, come quello sanremese, troppo ingombrante e connotato scenograficamente, che sarebbe arduo se non impossibile far diventare neutro. La stessa regia televisiva a volte è risultata inadeguata. 

Resta tuttavia il valore performativo dell’esperienza proposta da Lauro. Il discorso sui generi musicali si è rivelato ancora funzionale ad affrontare le questioni di genere. Fotografando la condizione storico-sociale dell’emergenza e dell’affermarsi di un genere di musica, come atto rivoluzionario rispetto a uno status quo, e denunciando la natura dei pregiudizi di varia natura (sesso, razza, condizione sociale…), i quadri invocano e incitano alla liberazione, verso la realizzazione di un’identità anarchica, autarchica e autonoma, indipendentemente dai valori imposti dalla cultura dominante e patriarcale. Per costruire tale discorso su genere e identità, Lauro dispiega un immaginario “di sintesi” proprio, risultato della rielaborazione e dall’assemblaggio di esperienze umane ed artistiche varie, – nella combinazione di un dispositivo musicale-teatrale-performativo, di live e video. Il suo corpo rimane performativo, nella porosità di presenza reale e costanti ricerche di artificio e metamorfosi, portatore di domande anche quando invece la sua voce nelle “lettere” parrebbe formulare affermazioni e dare risposte.

Se la performatività attiene, come tra gli altri lo stesso Schechner e Judith Butler sostengono, alla ricerca e alla costruzione di identità attraverso un processo di ripetizione di comportamenti, nel loro tentativo di decostruzione di regole e ruoli sociali costrittivi e nella sommatoria delle ripetizioni che propongono, le performance di Achille Lauro contribuiscono a performare la realtà e le identità, ossia in un certo senso, a ri-costruirle, rendendole più effettive secondo una visione propria. Come gesto politico di autodeterminazione, “essere genericamente niente”, come Achille Lauro sostiene, può rappresentare allora la porta di accesso a un paradiso di spazi di autenticità sconfinati. 

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III. ELEVATIONS

PARIGI 20_06_2020

 

Negli Airpodes in loop una scia di brani di Achille Lauro, riflettendo a un’intervista che vorresti fare. 

È la vigilia del solstizio d’estate. Da quando la pandemia ha avuto inizio, il corpo tenuto lontano persino dall’aria. Passi esplodono nel disegno di una personale mappatura di Parigi, che ritracci ora, da mesi di assenza. Les Tuileries sono un terreno di gioco, levitazione dell’essere aspirato dalla luce in diagonale. Gioco di riflessi. Presenza in trasparenza. La parte in ombra. L’impronta. 


 

Dimanche 25 octobre, j’ai eu l’honneur de pouvoir raconter “l’histoire de l’écriture clandestine* de Gao Xingjian, Prix Nobel de Littérature 2000, à l’époque de la Révolution Culturelle en Chine et de lire un de mes poèmes, intitulé Dans les plis, inspiré par cette histoire, pour le projet #badtimestory de Romina De Novellis et Domus Artist Residency, que je remercie infiniment.
Pendant ce temps de couvre-feu pandémique, à 21h30, j’étais “dehors”, projetée sur un mur de la rue de Seine à Paris, à parler dans le l’air et en même temps visible en live streaming sur Facebook.
Cette présence par la procuration d’une vidéo, dans une ville deserte et désertifiée des humains, ça me paraît avoir le goût tenace d’un acte de résistance. Il se tient à l’espoir et ne renonce à oeuvrer, dans une simplicité, pour continuer à exister. Bravo à Romina pour son engagement dans ces temps si rudes…

* Ce texte, que j’ai écrit, est tiré de ma thèse de doctorat La performativité dans l’oeuvre et la pratique artistique de Gao Xingjian. Le poème Dans les plis fait partie de mon l’installation Dans les plis (poème, papier Fabriano 1.50mx10m, encre de Chine, fusain, 2019).

 

 

©Simona Polvani 2020

Deflagrano risate

risate

deflagrano fuori

dalla finestra

Sonore sillabe gutturali rotonde rotanti

Dalla finestra fuori

irrompono seminando filamenti scie brusii

borboglii

Scardinato ormai è il regno del Silenzio Inamovibile

Talvolta nella distanza – cento metri a volo d’uccello –

accade

una parola non si infrange nell’aria

penetra allora intera di senso nel tuo orecchio – bon, enfin, putain, champagne, virus, covid

vie vie vie

Loro festeggiano – sagome s­hekerate dentro rettangoli luminosi nella notte pesta – La cacofonia della felicità riesumata

Tu ancora

segregata nell’appartamento rimani sempre

più lontana dalla (ad)domestica(ta) vita di un tempo – antropocene ridisegnato con un compasso senza centro

e incomprensibile è la gioia

strozzata dalla paura

Niente è più rassicurante nel presente

ciò che prima era sembra perduto per sempre

l’incoscienza – e il tatto l’olfatto il gusto persino la vista

Il corpo – tradito dal respiro ­–

è divenuto diffidente e         fa barriera

I piedi recalcitranti ti negano la soglia – oltre

NO EXIT

(Neppure l’estate esplosa tutta il 19 maggio)


©Simona Polvani 2020

Il nuovo numero della rivista HYSTRIO – trimestrale di teatro e spettacolo, propone nel numero 3-2020 di luglio-settembre il dossier TEATRO DELLE MIGRAZIONI, curato da Giuseppe Montemagno e Roberto Rizzente.

Al suo interno, trovate il mio articolo Francia: dalla banlieue con furore contro tutte le frontiere del mondo, in cui tratto la questione del teatro delle migrazioni dal punto di vista delle scena francesi, con una panoramica sulle drammaturgie e gli spettacoli di Thierry Thieû Niang, Aziz Chouaki, Sèdjro Giovanni Houansou, Nasser Djemaï, Karima El Kharraze, Penda Diouf, Marine Bachelot Nguyen, Ahmed Madani, Wajdi Mouawad.

Uno sguardo alle azioni portate avanti da realtà culturali quali L’Atelier des artistes en exil, il Festival Visions d’exil, il Théâtre Cinéma de Choisy-le-Roi, Les Scènes Appartagées, Jeunes textes en liberté, il Musée national de l’histoire de l’immigration testimonia della pluralità di prospettive artistiche, sociali e politiche da cui sono affrontati i fenomeni migratori e le peculiari problematiche connesse nel teatro francese.

Potete acquistare la rivista in versione cartacea nelle edicole e libreria in tutta Italia oppure anche in versione digitale (solo 5 euro) a questo link:

https://www.hystrio.it/numero/numero-3-di-luglio-settembre-2020/

A presto!

©Simona Polvani 2020

Salvatore, tu vois—vedi – 

(mentre guarda una fotografia che la macchina del tempo di Fb restituisce dal passato)
ci sono stati una volta compleanni condivisi 
dentro “i parlari nostri” sconfinati
candeline soffiate a meno di un metro 
e risate dimesse e fragorose

Il tempo del virus ci ha fatto regali perniciosi 

Il distanziamento sociale – espressione asociale – 

e l’impaurito sconfinamento – in cui i cavalli ombrosi dei piedi recalcitrano verso ogni dove scalciando 
impazziti nell’aria vuota – 


separano i corpi degli amici 


e oltre – scindono mente e corpo 

la prima resta 
desiderante 
della vita tutta che si crea insieme –
ai fratelli alle madri ai padri
agli amanti alle sorelle
agli amici
al genere umano ancora e forse per sempre sconosciuto –
della vita che si crea
corpo a corpo

tutta intera

©Simona Polvani, 26 mai 2020

 

1.

@SimonaPolvani2020 Vista da casa 8_04_2020

@2020 Simona Polvani – Vue du confinement, Paris, 08 avril 2020, horaire: 10:20:24.

 

Aujourd’hui c’est le jour 51 du confinement en France. J’ai lue cette chiffre dans des comptes des ami.es, car en réalité, je ne tiens pas le compte des jours qui passent. Je les sens couler, mais les compter, ça aurait signifié de donner encore plus de lourdeur à une expérience étrange, inédite, effrayante dont j’ignore la fin. Chaque jour, aurait été comme une goutte de la torture chinoise… Alors, je laisse défiler les jours, un après l’autre.
Je me suis concentrée sur ce que je pouvais faire même confinée. Je me suis faite aspirer par “le dedans” de mon deux pièces, où je pouvais respirer sans crainte, et en même temps j’ai recherché parfois discrètement, parfois avidement, tous les signes de vie humaine, animale, vegetale au delà de mes fenêtres.

Oeil rapace, oeil contemplatif.

Et par là, j’ai construit des nouveaux jours, cherchant tenacement ce qui était en mesure de me donner de la joie – ou au moins de limiter l’angoisse – et de lutter contre l’immobilité à laquelle le confinement paraît me condamner (nous condamner).

 

2.

 

 

©SimonaPolvani 2020 - Screenshot 3 video Danza confinata 23_03_2020

©2020 SimonaPolvani – Screenshot video Danza confinata, Paris, 23 mars 2020, horaire: 20:46:00

 

©SimonaPolvani 2020 - Screenshot 2 video Danza confinata 23_03_2020

©2020 SimonaPolvani – Screenshot video Danza confinata, Paris, 23 mars 2020, horaire: 20:46:00

©SimonaPolvani 2020 - Screenshot 1 video Danza confinata 23_03_2020

©2020 SimonaPolvani – Screenshot video Danza confinata, Paris, 23 mars 2020, horaire: 20:46:00

 

Je crois que le fait qu’au moment où le coronavirus a commencé à ravager notre monde, je venais à peine de terminer mon doctorat, a joué dans cette nécessité de chercher, même enfermée, de ne pas “perdre mon corps”. Car je sortais juste d’une longue période d’un different type de confinement et d’immobilité.
J’ai commencé d’abord à marcher dans mon appartement, à faire milles, deux milles, trois milles, jusqu’à sept milles pas, une fois.
Ensuite, j’ai retrouvé la danse que dans la dernière année et demi j’avais presque perdue. J’ai ainsi scandé ces nouveaux jours par des petits rituels de temps dansé grâce aux magnifiques enseignant.e.s, maîtresses et maîtres qui ont converti les ateliers en séance à distance: Antonella De Sarno, et sa danse sensible, Lorna Lawrie, Carey Jeffries, Atsushi Takenouchi avec leurs différentes approches du butō. J’ai commencé à pratiquer du pilates avec la grandiose Caroline Berger (biopilates).
Le dimanche après midi, depuis deux semaines, je voyage idéalement (et pourtant quel bonheur inattendu…) de chez moi à Paris en direction de New York pour participer aux séances de yoga Vinyasa et de méditation animées par Barbara Verrochi et Kristin Leigh auprès de The Shala Yoga House.

Ces séances, de danse, yoga, pilates, se sont toutes transformées dans un formidable moment de vie. Chaque visage des différent.e.s participant.e.s depuis plusieurs pays est ainsi devenu comme une fenêtre ouverte sur le monde. Ce monde, qui m’a semblé de plus en plus insaisissable et menaçant à l’extérieur, a trouvé son miroir rassurant, plein d’espoir, dans ces visages et la portion d’intime – celui de nos maisons et des pratiques somatiques et spirituelles qu’on partage. La “zoomisation” n’a pas signifié une “zombisation”.
L’écran, les live streams, les visioconférences, ne sont non plus pour moi q’un simple moyen de communication. Ils bâtissent, ils sont un véritable espace commun. Il ont fait/ créé “des communautés”.

 

3. 

Parmi les rituels – les passions – que je venais à peine de reprendre avant que le covid-19 nous enfermait, il y avait le théâtre, au sens d’aller voir des spectacles, pas juste de l’étudier. [Les derniers mois de rédaction de la thèse avaient affecté aussi la fréquentations des ces lieux magiques, à la fois réels et utopiques, hélas !]

Une fois confinée, bien qu’abonnée à plusieurs newsletters, peut-être parce que j’étais déjà “au jeune” , je ne me suis pas trop intéressée aux différentes initiatives organisées par les théâtres qui, tout à coup, se trouvaient privés de leurs saisons.
Mais hier matin, pour des recherches liées à un article que je suis en train d’écrire, je me suis rendue sur le site de La Colline – Théâtre National (auquel d’ailleurs, j’ai été abonnée dans les deux dernières saisons).
Mon attention a été attirée par Au creux de l’oreille, que ce théâtre a lancé expressément pour ce confinement, réunissant 200 artistes amis de La Colline, qui offrent au téléphone des lectures de poésie, de théâtre, de littérature, de musique, “pour quelques minutes ou plus”… Il s’agit d’une initiative gratuite et ses artistes se sont tous portés benevoles.
Je me suis inscrite, animée par une certaine curiosité de “retrouver du théâtre”, ou une de ses textures, grâce à la présence de ces êtres mystérieux et fascinants qui sont pour moi les artistes de la scène. J’avoue que je ne m’étais pas plongée sur la longue liste des noms des artistes impliqué.e.s dans ce projet. Ce qui m’intéressais étant le plaisir de pouvoir faire cette nouvelle expérience, d’un théâtre qui vient chez moi, d’un théâtre qui ne se voit pas. Et qui est pourtant vivant, par une présence d’un corps-voix, d’un être voix: c’est ce que je pouvais imaginer.

Mon appel était prévu dans le créneau de 16h à 17h.
À 16h pile mon portable a sonné. Quand j’ai décroché, une voix douce m’a dit bonjour et demandé si j’étais Simona. Elle a ajouté qu’elle appelait pour le théâtre de la Colline. Ensuite, elle s’est présentée: “Je suis JANE BIRKIN“.
Une vague d’émotion m’a saisie. J’ai même pensé, que comme il s’agissait du théâtre, peut-être que non, que la personne qui était en train de me parler, n’était pas JANE BIRKIN, mais qu’il devait avoir eu une pièce (que j’ignorais!) où un personnage était Jane Birkin, et que là, on était en train de me proposer une partie de cette pièce (le cerveau face à l’extraordinaire trouve toutes les raisons pour rendre la réalité invraisemblable, ou bien vraisemblable…).

Jane Birkin m’a proposé des poèmes de Prévert, et notamment Les feuilles mortes, et le texte de La chanson de Prévert de Serge Gainsbourg qui s’en est inspiré, avec d’autres textes de ses chansons déchirantes. Je flottais, je me perdais et retrouvais dans sa voix et les tourbillons de ces poèmes, qui parlaient de distance, de séparation, de fin, de mort et de recommencement. Il y avait la vie, toute entière. À la fin de sa lecture, nous avons parlé, de notre présent, du confinement réciproque. Quand nous nous sommes saluées, c’était comme si la pesanteur avait été retirée de mon corps et la lumière déjà intense éclatait dans mon appartement. Ce n’était pas qu’une voix qui s’était présentée au creux de mon oreille. Tout un univers artistique et humain s’était condensé dans cette voix si parlante. L’art, c’est ça aussi, c’est surtout ça.

Je remercie Jane Birkin pour sa générosité et son indicible sensibilité. Je remercie Wajdi Mouawad et toute l‘équipe de La Colline pour m’avoir permis de faire encore expérience d’un art vivant et d’un moment de vie exceptionnel pour toujours.

 

Jane Birkin & Charlotte Gainsbourg live – 
La Chanson de Prévert, 2 avril 2017

 

©Simona Polvani, 6 mai 2020

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Gao Xingjian, encre de chine /inchiostro di china

 

Mon article Le troisième œil dans le théâtre de Gao Xingjian : esthétique d’une dramaturgie augmentée, consacré à la dramaturgie de Gao Xingjian, Prix Nobel de la Littérature, est paru dans “Itinera. Rivista di filosofia e di teoria delle arti”, revue publiée par l’Università degli Studi di Milano.

Voici le lien pour y accéder:  https://riviste.unimi.it/index.php/itinera/article/view/8735

 



Sul N. 13 (2017): Il teatro e i sensi. Teorie, estetiche e drammaturgie di  “Itinera. Rivista di filosofia e di teoria delle arti” (Ed. Università degli Studi di Milano) è stato pubblicato il mio articolo Le troisième œil dans le théâtre de Gao Xingjian : esthétique d’une dramaturgie augmentée, dedicato al teatro dell’artista Gao Xingjian, Premio Nobel per la Letteratura. 

Qui il link per potervi accedere: https://riviste.unimi.it/index.php/itinera/article/view/8735

 

INTORNO ALLA MIA PIETRA NON FARÀ NOTTE

di Fabrice Melquiot

traduzione di Simona Polvani

 

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Accade che due fratelli, in una città che potrebbe essere Napoli, si inventino cercatori d’oro e che quest’oro sia l’oro dei morti. Che essi sognino di convertire il loro tesoro in una montagna di soldi, da depositare in Svizzera, e di vivere serenamente con il verde dei pascoli negli occhi. Che il fratello maggiore sia un fan sfegatato di Elvis Presley, e che ciò non lo metta però al riparo da una morte violenta. Che il padre, vedovo inconsolabile, ubriaco fradicio, sia diventato un trans e passi le notti a battere per lenire, se possibile, il dolore. Che i due fratelli abbiano due giovani fidanzate, dai desideri più grandi dei loro corpi e spesso contraddittori. Che sulle loro strade passi un poeta, venuto da Oltralpe, innamorato deluso, intenzionato a far saltare in aria il mondo. E che…

 

 

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Locandina dello spettacolo “Autour de ma pierre il ne fera pas nuit” di Fabrice Melquiot, regia di Mathieu Touzé, Francia, 2014

Intorno alla mia pietra non farà notte (Autour de ma pierre ne fera pas nuit, L’Arche Éditeur, 2003, ristampa con modifiche del testo 2009), porta con sé tutta la visionarietà della scrittura drammaturgica di Fabrice Melquiot, classe 1972, autore francese tra i più prolifici e talentuosi della sua generazione. Impastata di notte e sogni, essa scava nel solco della realtà, per seminare il possibile e l’inverosimile. Una scrittura tragica e poetica, con il riso tra le labbra.

Intorno mia pietra non farà notte è stato presentato in anteprima nazionale in Italia in forma di lettura scenica, a cura della regista italiana, ma residente in Francia Gloria Paris, con Alberto Caramel, Bruno Fleury, Diana Hobel, Sandro Mabellini, Francesco Scianna, Chiara Vergola ad Opere Festival 2006 (Castello Odescalchi di Bracciano). Produzione Il Battello Ebbro in collaborazione con La Casa delle Scritture Europee, Centro Internazionale di Scrittura Drammaturgica La Loggia, Teatrino dei Fondi, TERI. Con il sostegno di Fondazione Nuovi Mecenati,  Association Beaumarchais/SACD, Diunamai. Con il patrocinio del Servizio Culturale BCLA dell’Ambasciata di Francia in Italia.

 

Nel 2007 il testo, in versione ridotta, è stato presentato sempre in lettura scenica al Teatro Galleria Toledo di Napoli nella rassegna Orientamenti. Geografie del Tempo Presente. Teatro: Le Nuove Scritture. A interpretarlo: Agostino Chiummariello e Alessandra D’Elia.

 




L’inizio della pièce


Personaggi

 

LOUIS BAYLE detto LULLABY, 50-60 anni, padre di famiglia, vedovo e travestito

 

I suoi figli

DAN BAYLE, 30-35 anni, cercatore d’oro

IVAN BAYLE, 20 anni, cercatore d’oro

 

LAURIE, 20 anni, fidanzata d’Ivan

DOLORÈS, 25-30 anni, fidanzata di Dan

JUSTE, 30-35 anni, alla ricerca di una musa

 



 

PROLOGO

In una città che potrebbe essere Napoli.

Su una collina che sovrasta la baia, una di quelle estati in cui non si respira.

Ville lussuose, garage con allarme, campi sportivi recintati.

Strade strette e sinuose, marciapiedi disseminati di spazzatura e di cadaveri di gatti o di cani.

Talvolta, lungo i marciapiedi, si fermano delle automobili; dentro, ragazzi e ragazze fanno l’amore.

In estati come questa, non hanno scelta: finestrini abbassati; le loro voci invadono la collina, il Belvedere vicino, il cimitero, laggiù.

Negli angoli, va da sé, vengono spacciate sostanze a quelli che si fanno in altro modo.

Un venditore di dolciumi e di bevande fresche si domanda che ci sta a fare lì.

Quelli che, senza veicoli e affascinati dalla luna, vanno a spasso tenendosi per mano, farebbero bene ad accelerare il passo.

Durante le estati come questa, in notti come quella che inizia, non bisogna spingersi fin là.




 

ÉLÉONORE SANZ

Agosto.

Quella notte là.

Il cimitero.

Il caldo.

Ci saranno altri giorni, vedrete; giorni già passati: li riconoscerete –

Una bara è aperta. Terra rivoltata. Cadavere di una giovane donna.

Due uomini vestiti di pelle.

Due uomini di fretta.

 

DAN. Non con le dita, con le dita non arrivi a niente, non vedi che è ancora nuova? Prendi le tenaglie.

IVAN. Non posso. Alle donne, non posso cavargli i denti.

DAN. Questa è nuova.

IVAN. Sto male. L’odore, non posso più. Fa troppo caldo.

DAN. Prendi il mio foulard.

IVAN. Leviamoci dai piedi, Dan, ti prego.

DAN. Non se ne parla. Prendi il mio foulard.

IVAN. Però non voglio cavarle i denti.

DAN. Occupati degli anelli.

IVAN. Gli anelli sì, gli anelli vengono da soli.

DAN. Sbrigati.

IVAN. Tu t’occupi dei denti. Prendi le tenaglie.

DAN. D’oro, quanti?

IVAN. Due premolari. A destra.

DAN. Visto.

IVAN. Dan, non vengono.

DAN. Cosa?

IVAN. Gli anelli, non vengono.

DAN. Prendi il coltello. Taglia il dito.

IVAN. Non melo chiedere, oggi no. Allora preferisco cavarle i denti.

DAN. Levarle la collana, ti va a genio?

IVAN. Voglio andarmene. Fa troppo caldo. Il foulard non basta. Mi sento morire.

DAN. Tu non muori da nessuna parte.

IVAN. Soffoco.

DAN. Siediti e basta. Io cavo i denti, taglio le dita, tu fai il palo, ti va bene?

IVAN. OK. Bella la morta, non trovi?

DAN. Non ci provare, ti salta addosso.

IVAN. Non scherzare.

DAN. Vedi nessuno?

IVAN. Nessuno.

DAN. Asciugami il viso.

IVAN. Fatto.

DAN. Asciugami le dita.

IVAN. Sì, sì Dan.

DAN. Con questo facciamo trecentoquarantasette denti d’oro, settantatré collane, centoventitré bracciali, trentotto braccialetti, un centinaio di paia di orecchini e qualcosa come duecentoventi anelli. Senza contare le scarpe di coccodrillo.

IVAN. E i foulard Hermès.

DAN. Stì morti, vivono nel lusso.

IVAN. Non scherzare.

DAN. Ancora nessuno?

IVAN. Tranquillo.

DAN. Con quello in fondo è dura.

IVAN. Lascia perdere.

DAN. Cazzo, resiste.

IVAN. Come si chiama?

DAN. Chi?

IVAN. Lei.

DAN. Che ne so. Ti starà scritto sotto al culo.

IVAN. Éléonore Sanz.

DAN. Sta’ zitto, Ivan.

IVAN. Bello Éléonore.

DAN. Asciugami la fronte. Sta’ zitto.

 

Lungo il grande muro, laggiù, passa Dolorès. Incinta di sette mesi. Indossa un abito da sposa con lo strascico che scivola tra le pietre.

 

IVAN. Piangi?

DAN. Sei proprio stronzo. È sudore. Colpa dei buchi nell’ozono, l’ho visto in tv, dicono che col caldo e il freddo sarà sempre peggio, tutto si sregola. E io sudo, capisci?

IVAN. Mica c’è niente di male a piangere, dico io, anche per un uomo.

DAN. È sudore!

IVAN. Capito.

IVAN. Di cosa credi che è morta?

DAN. Me ne fotto.

IVAN. Comunque, la sua tomba fa schifo. Solo terra. Non voglio che mi mettano in terra, direttamente, cioè, nei muri della mia tomba voglio cemento armato, e la maiolica, i motivi arabi mi piacciono. Voglio che accendono le candele, che non lasceranno spegnere mai. Capisci, mai. Nemmeno una fiamma per dire che qualcuno si ricorda di te, è come morire un’altra volta.

DAN. Nessuno?

IVAN. Dan, è chiuso, non si fa vivo nessuno. Nessuno, tranne i cercatori d’oro.

DAN. Non scherzare.

IVAN. Cosa?

DAN. Sto per vomitare.

IVAN. Hai tirato via il premolare ?

DAN. Fanculo, Ivan. Non mi sento bene adesso.

IVAN. Mica ci sei andato leggero.

DAN. Non mi sento bene.

IVAN. Leviamoci dai piedi, vieni.

DAN. Mi sento morire.

IVAN. Dan, queste sono frasi mie.

DAN. Ivan, parlami.

IVAN. Di cosa?

DAN. Ho una botta di caldo.

IVAN. Io sto bene Dan, sto bene.

DAN. Non ti chiedo come stai, ti chiedo di dirmi qualcosa. Parlami della Svizzera.

IVAN. La Svizzera è un paese calmo e pulito con i pascoli verdi ….

DAN. Taglia corto.

IVAN. Ci leveremo da qui con i nostri gingilli dentro le valigie, laggiù in Svizzera dei nostri gingilli ne faremo banconote più verdi dei pascoli e un banchiere ci sbaverà dietro. Faremo investimenti finanziari a tassi super vantaggiosi. Compreremo degli chalet confinanti ai piedi delle piste, con telecamere di sorveglianza dappertutto. Il tizio responsabile del sistema video avrà la sua capanna in giardino, vicino alla funivia. Avremo le nostre mogli a portata di mano e ce la passeremo strabene. A Laurie comprerò dei fiori tutti i giorni, delle orchidee selvagge.

DAN. Avremo tutte le donne che vogliamo, fratellino.

IVAN. Mi basta Laurie.

DAN. Lascia perdere la tua piscialletto, ti ci vuole una bella svizzera ricca sfondata.

IVAN. Fanculo Dan, io amo solo lei.

DAN. Tu ritiri “fanculo”. Subito.

IVAN. Ritiro, d’accordo.

DAN. Stronzetto.

IVAN. Ritira “stronzetto”, se no dico a tutti che piangi quando strappi i denti ai morti.

DAN. È sudore!

IVAN. Laurie, io la porto in Svizzera, capito?

DAN. Se vuoi.

IVAN. Come va?

DAN. Meglio.

IVAN. Allora, ci leviamo dai piedi?

DAN. Sì!

IVAN. Tocca a te dire la preghiera.

DAN. Lo so.

IVAN. Sbrigati.

DAN. Lasciami solo con lei.

IVAN. Perché?

DAN. Prendi i gingilli. I denti, gli anelli, tieni, prendi tutto. Gli attrezzi, li asciughi. Sistemi tutto col resto. Non lasci niente in giro. Ti guardi alle spalle quando cammini sui viali. Ti guardi davanti. Sui lati. Non fare niente a caso. Ti raggiungo alla cappella.

IVAN. Sbrigati. Laurie mi aspetta per andare al cinema.

DAN. Fila.

 

Ivan fila via.

Dan si asciuga il viso col foulard pieno di sangue.

 

DAN. Ave Maria, piena di grazia….Porca troia, si crepa….Ave Maria piena di grazia, il Signore è con te…..

 

Ricompare Ivan.

 

IVAN. Dan!

DAN. Che gridi! Ivan, più piano! Cosa?

IVAN. Dan, un uomo!

DAN. Cosa? Dove?

IVAN. Al buio, un uomo, ha un ferro, Dan, l’ho visto, un ferro!

DAN. Fuori dalle palle! Non ho finito la preghiera.

IVAN. Sei scemo o cosa? Bisogna levarci dai piedi!

DAN. Fratellino, va’ a cambiarti!

IVAN. A cambiarmi cosa? Perché a cambiarmi?

DAN. Non discutere, ho capito. Non è la canicola.

IVAN. Dan, hanno aperto il portale. Dan ci sta gente….Dan, ci stanno Papà e Laurie. Dan, che cos’è?

DAN. Va’ a cambiarti.

IVAN. Perché a cambiarmi, porca miseria?

DAN. È il mio funerale, mi sa proprio.

IVAN. Il tuo funerale?

DAN. Fuori dalle palle ti dico!

 

Dan bacia Ivan sulla bocca.

Si sente uno sparo.

Ivan scompare.

Dan riprende la preghiera sulla tomba di Éléonore.

 

DAN. Ave Maria piena di grazia, il Signore è con te……

 



Estratto dal testo inedito in Italia Intorno alla mia pietra non farà notte di Fabrice Melquiot, traduzione di Simona Polvani, depositato presso la SIAE (Italia), la SACD (Francia) e l’Arche Éditeur, che oltre ad essere la casa editrice di Fabrice Melquiot, è anche il suo agente teatrale.

Per ulteriori informazioni o se foste interessati a leggere il testo integrale: sp@simonapolvani.com

Tutti i diritti riservati

 

Torno e ne faccio il periplo

Ritorno in luoghi frequentati

Una stagione

Torno in luoghi cari

È periplo di castello ancora

Come fu allora.

 

Cumuli

Di terra scavata

Pieni di buche

Sono le tane dei conigli

Che abitano questo territorio

 

Avere la corsa del coniglio sotto i piedi

Scappare quando c’è da scappare e non restare paralizzati come il cervo a guardare la propria fine venire sotto il colpo del fucile

Essere bestia e uomo

Convocare l’istinto primordiale

Ma per adesso il passo è solo

Camminare lungo il sentiero della recinzione

 

Il vento riempie le orecchie di rumori

Si gonfia di suoni questa landa all’apparenza silenziosa

Sono voci dall’aldilà fischiano ululano sussurrano

 

[“- Alice: Per quanto tempo è per sempre?

- Bianconiglio: A volte, solo un secondo.”]*

 

Non ti oppongo resistenza, vento

Divento arbusto albero fiore

Pendo paurosamente pendo

Verso la recinzione

Temo lo schianto

Una folata

Mi respinge indietro

 

Mi contorce e preme, il vento

Ormai segmentato il corpo

I mie rami piegati da una parte

Mi distrae il rombo di un aeroplano

Che altri porta lontano – Dove?

E un uccello solitario che opposto vola

 

Solo io dalle radici fragili rimango

I sensi intrappolati

Dal coniglio

Che ancora corre

Tutto cambia al muoversi

Di una nuvola

Sole irresistibile agli occhi

Ombra

 


Simona Polvani

(Testo per la déambulation sonore site specific “Le Pas du Lapin”, con Damiano Meacci, residenza di creazione, Château Éphémère, Carrières-sous-Poissy, 16-21 aprile 2016)
* Citazione da “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carroll




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non la resa, ma l’abbandono, il piede dice, puntato /

è compasso, a tracciare

lo sconfinato perimetro

dell’essere

tu in me,
 dell’accadere, io, in te


Simona Polvani, 2012

 

 

 

Simona Polvani - mani by Guido Mencari 2014

 

Cette année, avec le musicien électronique Damiano Meacci, nous serons en résidence au Château Éphémère – fabrique sonore et numérique avec notre projet PASSI / Errare è umanopour la création d’une performance sonore-poétique. Elle se propose de questionner l’acte de l’errance. Errer comme mouvement, élan originaire et vital, spatial et physique, temporel, intime et politique. Errare, qui veut dire aussi se tromper, mouvement à faux pas. Errer pour se perdre ou se retrouver, partir, migrer, pas nécessaire, profondément humain.

Un premier volet de notre résidence sera en avril (du 15 au 23 avril) et ensuite en octobre. (du 18 au 31)

Voici la présentation de notre projet dans le site du Château Éphémère, que nous remercions déjà pour nous avoir choisi.

http://chateauephemere.org/passi-errare-e-umano-simona-polvani-damiano-meacci/

 

Je tiens un journal de la résidence, 
quelques impressions traduites en quelques vers. 

Vous pouvez les trouvez à ce lien: 

01 / First day of PASSI residence

02/ Second day of PASSI residence

 

Photo: Guido Mencari | www.gmencari.com

 

 

Il y a du vide parfois,

du vide

même si le vide n’existe pas

comment se débarrasser du vide, autour, dedans, en dehors

d’un phénomène qui en nature n’existe pas

comment penser au plein, plein de tout

mouvement perpétuel, choc entrechoqué, sobre fusion
couleurs à tromper, à faire crever l’iris
et le recréer

imaginer – pas de froid, de givre, de glace,
pas l’image du vide

songer, songer au tout, se faire espace
et particule, se faire le tout
puis laisser      la main glisser
et      se poser

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Simona Polvani, 2016

Horizon. 2014 © Guido Mencari www.gmencari.com


 

Si schiudono i nidi

Di uccelli immaginari

Subito aprono

Le ali

Sono ora

Sopra la mia testa

Ora

Sopra l’oceano grosso

Di lacrime

Striato di scie

Di speranze tenute

Con i denti

 

Vola senza pena

Gonfio di salmastro

Tu, unica meraviglia,

Da additare per il bimbo

In traversata


 

 

Testo: Simona Polvani, Agliana, 20 settembre 2015

Immagine: Horizon. 2014 © Guido Mencari www.gmencari.com

 

Tutte le poesie Collana i Venti, trad. Simona Polvani, pp. 304, 22 euro, con i disegni dell’autore. Editore: lanavediteseo.eu. Un’opera essenziale …

Gao Xingjian: Spirito Errante – Pensiero meditativo

andare

fermamente

avanti

l’ossimoro

della vita tutta

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX

avancer

fermement

de toute vie

l’oxymore

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© Simona Polvani Immagine&Piccola_forma 2023

La vita semplice

– ti dici

un precipitato di foglie a terra

e tu che le guardi accese

– eppur con le parole neghi

Copyright © 2022 Simona Polvani,  foto + piccola_forma