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Archivio mensile:agosto 2013

UN MURO

di Eddy Pallaro

traduzione di Simona Polvani 

 

Cover del testo "Un muro", Lansman
Cover del testo “Un muro”, Lansman

Tra le pièces di Eddy Pallaro, ho scelto di tradurre Un muro, scritta nel 2006 e pubblicata da Lansman l’anno successivo. Ho tradotto il testo tra il 2009 e il 2010, in residenza di traduzione al Centre National des écritures du spectacle La Chartreuse a Villeneuve -lez-Avignon, in Francia, beneficiando di una borsa  dell’Association Beaumarchais/SACD (Francia) e di una Borsa Odyssée assegnata dall’Association des Centres Culturels de Rencontre (Francia).

Guardando alla scrittura di Eddy Pallaro, risalta il lavoro sulla parola. Egli interroga le parole, che scava in modo sottile, facendole giocare e risuonare di plurimi sensi, attraverso loro « semplici » spostamenti e giustapposizioni.
Lo spazio della sua scrittura è il vuoto, il più bel vuoto, dove è l’essenzialità dell’orizzonte, combinato con la purezza della parola a far emergere l’azione. Attraverso di essi Eddy Pallaro costruisce mondi che appaiono essere sempre altrove e astratti, mondi altri rispetto al nostro mondo Terra, che nondimeno sanno contenere situazioni storico-sociali-esistenziali del nostro passato, del nostro presente e forse del nostro futuro e stupirci.

Eddy Pallaro non dice, evoca. Si tratta infatti di testi che provocano l’immaginazione, tanti possibili scene, e orizzonti.

La prima volta che ho letto il suo testo teatrale Cent-vingt-trois, per esempio, ho pensato che ci trovassimo, noi, come i vari ruoli della pièce, nello spazio, su un altro pianeta o su una stella, dopo una catastrofe che aveva distrutto la Terra, in un post-atomic time. Du Cristal (2012), che richiama il recente disastro nucleare in Giappone causato dal terremoto, disarma attraverso la parabola di una modificazione genetica sconosciuta che trasforma il corpo di un bambino in fragile cristallo.

Il mistero, un mistero, un segreto, un enigma, sottile e profondo e mai svelato, permea i suoi testi.

La pièce Un muro si rivolge a un pubblico dai quindici anni in su. I suoi personaggi sono lettere e numeri, di fronte a un muro, che è stato per loro, per i loro padri e antenati, “il muro”, da edificare, su cui riporre speranze, il loro lavoro, il loro orizzonte, il loro limite.
Come si legge sulla quarta di copertina, la pièce è “la storia di un muro, dei muri, reali o immaginari. Divagazioni sui nostri tentativi, sui nostri superamenti, passaggi verso altre età, altri territori, altre condizioni”. Immediatamente, leggendolo, ho pensato al Muro di Berlino, che avevo attraversato a diciassette anni, ma il mondo è piano di muri, così come ognuna delle nostre vite.
Ho tradotto Un muro in italiano. Desideravo fargli varcare le Alpi. Spero che trovi altri, in Italia, che vogliano attraversarlo e provare ad afferrare il suo segreto.

Eddy Pallaro, alla Chartreuse, durante il festival Théâtres du globe
Eddy Pallaro, alla Chartreuse, durante il festival Théâtres du globe


L’inizio della pièce

 

Personaggi

L

 

I


I costruttori (1)

 

1- Chi ha posato la prima pietra? Non lo so. Non so chi potrebbe informarvi

2 – I progetti? Quali progetti? Non ci sono mai stati progetti

1 – Mio padre ci ha lavorato

2 – Nessun bisogno di un progetto, l’ispirazione, è tutto

1 – Mio nonno ci ha lavorato. 2 – L’ispirazione, nient’altro

1 – Penso che qualcuno un giorno ha visto una pietra, ne ha posata un’altra, e così di seguito

2 – Un architetto? Quale architetto?

1 – Ho fatto come gli altri, ho messo una pietra, poi una pietra, poi un’altra pietra. Tutti hanno fatto così, di generazione in generazione

2 – Non c’è mai stato un architetto, non c’era bisogno di un architetto, è roba buona, credetemi

1 – Mi ricordo benissimo della mia prima pietra. Quel giorno ho organizzato una festa. Era la tradizione

2 – Quanto ai materiali, tutto ciò che c’è di più naturale e resistente

1 – Abbiamo decorato il muro. Mai mi è sembrato così bello. La festa non è durata a lungo

2 – Non ce ne sono due uguali

1 – Per quelli che non erano di qui le giornate erano lunghe. Bisognava alzarsi la mattina presto, il ritorno si effettuava la sera tardi. Un bus della società dei cantieri passava a prenderci e ci riportava indietro. Le serate erano brevi, le notti erano buone

2 -Cosa c’è dall’altra parte?

1 – Una notte, delle pietre sono state smontate. Il giorno dopo le abbiamo rimontate

2 – È meglio non cercare di sapere

1 – La notte successiva, erano di nuovo smontate

2 – Una formalità, il muro ha tenuto duro

1 – Le abbiamo rimontate un’altra volta, e così di seguito ogni giorno. Siamo dovuti rimanere sul cantiere giorno e notte perché non si ripetesse

3 – Mio padre ci ha lavorato

1 – Le notti d’inverno, le dita congelavano, facevamo dei fuochi per riscaldarci. Chi perdeva un dito nel fuoco pagava un giro di bevute a tutti

3 – Mio nonno ci ha lavorato

2 – Non conosco nessuno nel raggio di cento chilometri che non sappia dove si trova

3 – Il mio bisnonno ci ha lavorato

2 – Tutti ci sono passati davanti almeno una volta

3 – Il mio bis bisnonno ci ha lavorato

2 – Alla fine di ogni provinciale, di ogni nazionale, di ogni autostrada: il muro

3 – Il mio bis bis bisnonno ci ha lavorato

2 – Il piano di sviluppo del territorio? Le infrastrutture? Tutto è stato pensato in funzione del muro

3 – Il mio bis bis bis bisnonno ci ha lavorato

2 – Lo si vede dalla più alta delle cime. Non so se è vero

4 – Le cave dalle quali si estraevano le pietre si trovano un po’ indietro, ora sono esaurite

3 – C’era un prodotto, già, come si chiamava?

1 – Non si usa più

3 – Come si chiamava?

1 – Fissava bene le pietre

3 – Non fissava tanto bene

1 – Certi sono morti dopo averne inalato troppo

3 – Come si chiama?

1 – La morte arrivava dopo anni di lavoro, morivi quando smettivi di lavorare. Si diceva

1+3 – Il primo che smette di lavorare è un uomo morto

1 – Allora si continuava a lavorare

4 – Non ne ho mai respirato

1 – Non sono mai andato nelle cave

4 – Lavoravo nelle cave

1 – Finita l’estrazione della pietra, le hanno chiuse

4 – La pietra utilizzata era introvabile altrove. Maneggiarla mi piaceva da morire. La pietra era fine e tenera.

1 – Adesso le case crollano a causa delle gallerie

4 – Non ne troveremo mai più di pietre di quella qualità. Erano fuori dal comune

1 – Impossibile entrare nelle gallerie ora, è troppo pericoloso

4 – Il loro trasporto era delicato, le pietre erano delicate

1 – Un giorno, i lavori si sono fermati, era pomeriggio, una parte del muro era crollata

3 – Quello non fissava tanto bene

1 – Tutti erano d’accordo, così non poteva più andare avanti. Tutti erano mobilitati

5 – Mesi che non lavoravo. Avevo posta. Un lettera della società dei cantieri

1 – “Se non vuole lavorare, ce ne sono altri che aspettano, saranno felici di prendere il suo posto”, ecco cosa ci veniva detto

3 – Non capivano, non era questione di soldi

5 – Tremando ho aperto la lettera, ero in miseria, mesi senza lavoro

3 – Erano le pietre delle pietre delle pietre delle pietre delle pietre dei nostri padri

1 – Eravamo attaccati al muro, anche senza essere pagati, non avremmo abbandonato il cantiere. Si trattava delle nostre pietre

5 – Era lavoro. Ero felice come un bambino. Sono andato a letto presto

1 – Non c’eravamo mai mobilizzati tanto

5 – Non ho dormito tutta la notte, ero nervoso, perché il giorno dopo

2 – Una costruzione così, non ne rivedremo tanto presto

5 – Lavoravo

 

 

II

Il muro

 

A, B, C, D davanti al muro

A – Mesi che non avevo visto passare qualcuno

B – Non ce la faccio più

A – Ha preso la rincorsa

B – Basta

A – Ed è passata dall’altra parte

B – Ci vado

A – È ciò che lei diceva

B passa dall’altra parte del muro

C – Ha preso qualcosa?

A – È tutto ciò che lei ha detto

D – Qualcuno la conosce?

A – Non so chi sia

C – Perché è partita ?

A – Non l’avevo mai vista prima

D – Viveva con qualcuno?

A – Di solito li individuo subito, questa volta non mi sono accorto di niente

C – Qualcuno ha domandato sue notizie?

A – Siete i primi

D – Forse ha lasciato un messaggio?

C – Un messaggio che spiegherebbe tutto

A – Nessuno agisce allo stesso modo

D – Da dove cominciano? Cosa fanno? Da cosa li notate?

A – Gli approcci sono diversi a seconda degli individui

C – Vado a vedere se non ha rubato niente

C esce, E entra

E – Qualcuno è passato dall’altra parte?

A – Oggi

D – Vado a verificare se ha lasciato un messaggio

D esce

E – La può descrivere?

A – Correva

E – Ha detto qualcosa?

A – “Non ce la faccio più, basta, ci vado”

E – Non ha lasciato niente?

A – È tutto

E – Ed è passata?

A – È andata tutto a diritto e velocissima

E – Va sempre tutto a diritto e velocissima, ogni volta

A – Non camminiamo tutti allo stesso ritmo

E – Bisogna aspettarsi

A – Non siamo obbligati a camminare assieme

E – Non si sa mai cosa può capitare

Estratto dal testo inedito Il muro di Eddy Pallaro, traduzione di Simona Polvani, depositato presso la SIAE (Italia) e la SACD (Francia).

Per ulteriori informazioni o se foste interessati a leggere il testo integrale: simona.polvani@gmail.com

ONISIO FURIOSO

di Laurent Gaudé

traduzione di Simona Polvani

 

 

Cover della pièce "Onysos le furieux " pubblicata in Francia
Cover della pièce “Onysos le furieux ” pubblicata in Francia

Onìsio Furioso (Onysos le furieux) è il secondo testo teatrale di Laurent Gaudé, pubblicato nel 2000 e messo in scena lo stesso anno da Yannis Kokkos.

Un uomo è seduto sulla banchina di una metropolitana, a New York. È vecchio. Vestito di stracci. È Onìsio, uomo e dio. Prende la parola e scioglie il racconto della sua vita. È un’epopea antica. Dalla nascita sui monti Zagros fino alla conquista di Babilonia, dalla fuga in Egitto all’arrivo nella città di Ilio dove decide di morire al fianco dei Troiani racconta una lunga successione di pianti e grida di piacere, lacrime, orge e incendi. In una notte, su una banchina anonima, Oniso l’accattone, dal viso di fango, Oniso l’assetato fa sentire di nuovo la sua voce e ricorda agli uomini che ancora esiste.

Laurent Gaudé inizia con questo monologo teatrale la sua esplorazione del mito, tagliando la carne viva dell’immaginario con parole affilate e impetuose. L’intimo così si scopre, fragile e vivo.

La traduzione ha beneficiato di una borsa di traduzione da parte dell’Association Beaumarchais/SACD (Francia).

Il testo è stato presentato in anteprima italiana in forma di mise en espace per la regia di Giancarlo Cauteruccio, con Fulvio Cauteruccio, Compagnia Krypton, al Teatro Studio di Scandicci il 21 aprile 2012 nell’ambito della rassegna “Face à Face Parole di Francia per scene d’Italia 2012”.

Onysos le furieux, regia di Nicolas Guépin, con Stéphan Meynet
“Onysos le furieux”, regia di Nicolas Guépin, con Stéphan Meynet

 

L’inizio della pièce

Non hai bisogno di un pretesto per venire a sederti accanto a me, sedie sono pubbliche e nessuno può pretendere di aver riservato proprio il posto che desideri tu.
Quindi non romperti la testa per formulare una falsa domanda, e chiedimi una sigaretta o l’ora solo se hai davvero bisogno di fumare o di sapere che ora è.
Siediti.
Ti domandi cosa ci faccia qui, sul binario di questa metro.
I convogli passano senza che io vi salga.
Ogni quattro o cinque minuti, centinaia di persone scendono dai vagoni e io non ne chiamo nessuna, non cerco con gli occhi nessuno.
E tu lo sai poiché mi guardi da tanto tempo.
Il mio viso è nero,
Sono sporco e rugoso.
Ho le labbra secche, così secche che se tutto a un tratto scoppiassi a ridere, si spaccherebbero e probabilmente del sangue sprizzerebbe fuori.
Ti domandi cosa attendo, chi sono.
Lascia che guardi a mia volta da vicino, prendendomi tutto il tempo, cosa può essere il volto di un uomo oggi.
Non aver paura,
Sono solo un vegliardo.
I miei occhi sono fragili per aver scrutato l’oscurità troppo a lungo, e questa strana luce blu del neon che lampeggia mi brucia l’iride.
Lascia che ti contempli, che veda se l’uomo è cambiato.
Non c’è più il fango
E sei pallido,
Così pallido che penserei di poter affondare un dito nella tua guancia e bucarne la superficie. Questa luce elettrica non scurisce la pelle come il sole?
Ora ti preoccupi e ti chiedi cosa possa davvero volere il vecchio…lo so…lo so…non guardarmi così. Vorresti fare una domanda, forse parecchie, ma non puoi.
Il mio volto e la mia voce ti fanno paura?
Ti ripugna la vecchiaia della mia pelle?
Non ti preoccupare, ringiovanirò.
Lascia passare tutta quella gente,
Lascia.
Nessuno fa attenzione a noi.
Ti domandi cosa sono e perché questa voce, che ascolti da qualche minuto e sulle prime era aspra e stridula, adesso ti incanti con una dolcezza che non ti spieghi.
Non ti preoccupare, compagno, ti racconterò tutto.
Finalmente ho trovato la città a cui appartengo.
Prima sono nato, poi ho errato alla ricerca di un posto a mia dimensione e solo adesso l’ho trovato, molto tempo dopo, quasi sul punto di morire.
Ma adesso lo so, e posso dire che sono nato per New York.
Ti racconterò tutto, compagno.
E ascolta bene perché sotto questo fascio di luce azzurrata, stai per sentire la storia di Onìsio furioso.
E dimentica quei grappoli di uomini e donne che si riversano sul binario, quelle orde di annegati
non ci disturberanno.
Onìsio parla.
Non vedi come sono già ringiovanito e quante rughe in meno conta il mio viso?
Sento il corpo che si riscalda, i muscoli sono più sodi,
Potrei denudarmi e vedresti che il mio corpo non è più quello di un vegliardo.
Potrei già quasi atterrarti nella lotta.
Ma prima lasciami parlare e non mi interrompere se le parole mi vengono lentamente, perché non ho parlato da così tanto che le labbra sono anchilosate per le migliaia di anni di silenzio.

CANTO I

Mi è difficile ricordare la mia terra natale.
Perché siamo qui in una città di luci dove i marciapiedi di bitume sono cosparsi di immondizia, di lattine di birra e carte sporche,
Dove gli uomini si accalcano a migliaia, dove le auto dalla mattina alla sera ruggiscono paraurti contro paraurti tra lo stridio di pneumatici impotenti
Quando laggiù, non c’era che un pugno di uomini e donne.
Mi è difficile ricordare quel villaggio perché il tempo è passato.
Ho fatto un sonno di parecchi secoli, una strizzatina di palpebre, appena, e New York è nata.
Tutti questi gran girasoli di vetro sono usciti dalla terra e hanno sprofondato il mio villaggio nel fondo della storia.
Sono nato a Tepe Sarab.
Tepe Sarab, compagno, dove gli uomini vivono in capanne di terra seccata, non più alte di un cavallo.
Sono nato a notte fonda e gli uomini del villaggio hanno dovuto accendere delle fiaccole per andare a vedere la testa di quel pezzettino di carne rossa che ansimando Ino aveva espulso fuori di sé. Ricordo la mia vischiosità mischiata al suo sudore.
Mi ricordo.
La mia memoria risale così lontano e posso ancora parlare delle casette di Tepe Sarab, nascoste tra le asperità dei monti Zagros.
Sono colui che non è nato da una donna.
Certo Ino mi ha tenuto nel ventre e Ino ha spinto perché uscissi tra le sue cosce,
Però mio padre è il signore degli dei e non occorreva una donna perché fossi proiettato nella polvere dei monti Zagros.
Di quelle prime ore, conservo dentro di me il ricordo del viso di Ino, spossata e livida.
Tepe Sarab,
Un piccolo villaggio circondato da muli e corvi.
Qualche capra salta di roccia in roccia e sale su dirupi inaccessibili agli uomini.
Talvolta, una si storce una zampa e rotola nel burrone,
Caduta d’aquila tra lo spavento ovino.
Varie settimane dopo la ritroviamo lacerata dalle rocce, puzza di morte e fa girare i corvi.
Talvolta scoppia una guerra.
Quattro o cinque uomini si armano di pietre e forconi e vanno a distruggere i tuguri del villaggio più vicino.
Chiamano quella una guerra.
Ino, in un’ultima contrazione febbrile, mi ha espulso sotto le stelle dei monti Zagros. C’è stata una grande festa.
A notte fonda, a Tepe Sarab, hanno fatto un rogo.
Gli uomini suonano della musica e le donne danzano.
Ino e Atamante sono ubriachi
La giovane madre si è rimessa.
Il sudore delle contrazioni si è asciugato in fretta.

Sono passate appena due ore, ma lei già non ci pensa più.
Vuole gioire e danzare e Atamante, il padre di carne, vuole bere e urlare.
Il grande falò, in mezzo al villaggio, illumina le facce di un bagliore di follia.
Il ritmo dei tamburi si mescola alle grida delle donne.
Vedo corpi impennarsi e fremere,
Vedo donne urlare di piacere e uomini rotolarsi nella polvere, e la polvere gli si incolla alla pelle tanto sono sudati.
C’è un gruppo di uomini che non danza.
Nessuno sa da dove sono venuti.
Qui non si conoscono.
Ma quelli di Tepe Sarab sono troppo ubriachi per preoccuparsi per quella presenza sconveniente, a notte fonda, nel profondo dei monti Zagros.
Loro non danzano, né bevono.
Non parlano con nessuno e nessuno di loro ha neppure guardato i corpi delle donne ondeggiare dal desiderio.
Forse non sono uomini e forse quelle grazie non li toccano?
Loro guardano il neonato.
Li vedo a qualche passo da me.
Uno di loro si alza e viene a porgermi un balocco di legno.
Devo ridere tra le fasce.
Nessuno vede che un uomo si è alzato e parla al neonato.
Si danza.
Ipnotismo dei tamburi.
Mi circondano adesso, sono cinque, forse sei, non so.
Mi circondano e nella mia infinita piccolezza capisco che non sono di Tepe Sarab, che non sono qui per danzare e bere e che, persino, forse, non sono uomini.
Uno di loro tira fuori un coltello da pastore.
Lo vedo chinarsi su di me e sento la lama aprirmi la gola.
Ma non è finita.
Ridono adesso, mi hanno ucciso.
Sulle fasce che Ino aveva gentilmente disposto attorno al mio corpicino, grandi macchie di sangue disegnano un violento mappamondo.
Non ho gridato, ma hanno fatto bene a cominciare con lo sgozzarmi perché se in seguito avessi potuto cacciare urla di dolore, avrei coperto il chiasso dei tamburi e fatto correre lungo la colonna vertebrale delle donne lunghi brividi di stupore.
Sento ancora le loro mani afferrare i miei arti.
Non sono più grande di un coniglio, ma non so correre.
Mi afferrano e tirano ognuna delle mie estremità.
La carne si squarcia e le ossa si rompono.
Una gamba, un braccio, una gamba, un braccio.
Sono un pezzettino di carne smembrato e sanguinolento.
I miei arti di lattante giacciono a qualche metro dal mio tronco, tra l’erba secca dei monti Zagros. Ma non è finita.
Gli uomini che non erano di Tepe Sarab non avevano danzato, né mangiato né bevuto.
E volevano, compiuto il lavoro, far festa a loro volta.
Allora hanno raccolto i pezzi di carne, li hanno fatti bollire in un paiolo di rame.
Li hanno lasciati cuocere a fuoco lento e ridendo hanno trangugiato lo stufato di neonato.
Sgozzato, squarciato e smembrato, il piccolo Onìsio è nato.
Ma gli imbecilli, nella loro pazzia, si sono dimenticati il cuore.

E a partire dal cuore, mio padre, perché è il signore degli dei, perché ha sentito le grida che non ho cacciato,
Con le sue mani di argilla mi ha fatto rinascere.
Non dormo di notte.
Se chiudo gli occhi, le stelle della notte di Tepe Sarab e i tamburi sincopati all’improvviso ricompaiono.
E le braccia, le gambe, le articolazioni e i muscoli mi tirano da ogni parte e si lacerano ancora.
Non dormo di notte perché ancora non mi sono vendicato degli uomini.
Ho lasciato per sempre Tepe Sarab.
Sono nudo e vivo come una belva, lontano dagli uomini che temo, nell’ombra opprimente delle montagne Zagros.
Ho errato da Behistun a Hamadan, ho errato fino a Tepe Giyan, prendendo in odio quei villaggi dove si danza.
La notte è il mio furore.
Nessuno ancora trema quando viene evocato il mio nome, perché nessuno, ancora, mi ha dato un nome.
Sono il lupo, il leone, l’orso e lo sciacallo.
Mi cimento in ogni ruggito.
Artigli mi spuntano sulla punta delle dita, ho i capelli arruffati.
Imparo a correre, affinché nessun uomo possa mai più afferrarmi.
Imparo a correre di notte tra Hamadan e Tepe Giyan, e le mie caviglie non si storcono mai, in nessuna delle anfrattuosità della roccia.
Vado più lontano della più selvatica delle capre.
Corro giù per i pendii di pietraie nella notte più buia, senza mai cadere, senza mai inciampare.
Sono nudo.
Le felci che attraverso in tromba mi eccitano la pelle con migliaia di piccole incisioni.
Ma questi graffi non intaccano le mie forze né rallentano la corsa.
Imparo a essere furioso e inafferrabile.
Ormai mi chiamo Onìsio ed è questo nome che imporrò agli uomini.
Sono il leone chiomato dei monti Zagros.
Sono nato, nato morto.
Solo, in mezzo alle felci e alle pietre, prendo forza per i miei combattimenti futuri.
Solo, nella notte mesopotamica, caccio i primi ululati di giaguaro che fanno fuggire gli animali e tremare le labbra delle donne.

Estratto dal testo inedito Onìsio Furioso di Laurent Gaudé, traduzione di Simona Polvani, depositato presso la SIAE (Italia) e la SACD (Francia).

Per ulteriori informazioni o se foste interessati a leggere il testo integrale: simona.polvani@gmail.com

Video di presentazione dello spettacolo Onysos le furieux, regia di Fanny Poulain, con Alexandre Loquet (France)

Video dello spettacolo Onysos The Wild,  di Laurent Gaudé, traduzione di Adrian Penketh and Dominique Chevalier, regia di Severine Ruset, con Chris Porter (Inghilterra).

Parte I 

Parte II

 

LA TIGRE BLU DELL’EUFRATE

di Laurent Gaudé

 

traduzione di Simona Polvani

 

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La tigre blu dell’Eufrate è il quinto testo teatrale di Laurent Gaudé.

Pubblicato in Francia nel 2002, è un monologo epico, che coglie le ultime ore di vita di Alessandro Magno, in un faccia a faccia estremo con il dio dei Morti, di cui si appresta a violare il Regno, con la stessa desiderio insaziabile di conquista, che altri non è che il desiderio di conoscere e “sentire”, che ha dominato tutta la sua esistenza. La tigre blu dell’Eufrate, animale dal manto di pietre preziose, è un miraggio da inseguire, la ragione di vita, il senso del mai compiuto.

Laurent Gaudé costruisce così una parabola in cui gli elementi storici attraverso il racconto si trasfigurano in mito.

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La traduzione ha beneficiato di una Borsa di traduzione dell’Ambasciata di Francia.

Il testo è stato presentato in anteprima italiana in lettura scenica a cura di Gloria Paris con Bruno Fleury al Festival Quartieri dell’Arte 2003, e sempre in lettura scenica a cura di Beno Mazzone,  con Gabriele Calindri e André Marcon, nell’ambito della prima edizione della rassegna “Face à Face Parole di Francia per scene d’Italia 2007″, al Teatro Libero di Palermo.

"Le tigre bleu de l'Euphrate", regia di Thierry Roisin, con Frédéric Leidgens, produzione La Comédie de Béthune - Centre dramatique National Nord-Pas de Calais.
“Le tigre bleu de l’Euphrate”, regia di Thierry Roisin, con Frédéric Leidgens, produzione La Comédie de Béthune – Centre dramatique National Nord-Pas de Calais.

 

L’inizio della pièce

 

I

Silenzio.

Cosa avete da battere i piedi così, impazienti, commentando ogni mio gesto, scrutandomi i lineamenti del viso nel più minuto particolare, frugando persino nelle mie feci per leggervi qualche presagio?

Sì, muoio.

Sì, presto sarò atterrato.

Ve lo dico.

Non c’è bisogno di spiare i miei spasmi, di contare la frequenza dei miei accessi di tosse.

Muoio.

E chiedo solo un po’ di silenzio.

Vi sento.

Vi ascolto parlare senza tregua dell’evoluzione della malattia,

E il brusio, che tenue nasce tra le lenzuola del mio letto, senza tregua cresce nei corridoi del palazzo,

Esce dalla porta grande e si riversa come un fiume di fango nei vicoli della città.

È un’ombra enorme che copre il cielo del mio impero.

È un’ombra che dice che il re è malato e sta per morire.

Non avete bisogno di nascondervi per parlarne.

Lo so meglio di chiunque altro.

Muoio di fame, di sete e di desiderio.

Mi sentite, voi tutti che volete conoscere l’esatta natura del mio male,

Voi tutti che scommettete sul numero dei giorni che mi resta da vivere,

Voi che bisbigliate nei corridoi e vegliate sulla mia malattia con la stessa attenzione della nutrice per la carrozzina,

È di fame che sto per morire.

Chi tra voi può capirlo?

Lasciatemi.

Non mi toccate.

Non circondatemi più con le vostre cure,

Non voglio sentire né i vostri unguenti né i vostri mormorii.

Lasciate questa camera.

Che non entri più nessuno.

Che escano, le donne di cui volete circondarmi,

Le serve che assistono il mio corpo malato, che vanno e vengono nelle loro tuniche di lino bianco, a testa bassa, cambiando le lenzuola e pulendo il mio corpo.

Che escano le mie trecentosessantasei spose

Che avete fatto entrare una a una perché mi dicano addio,

Corteo interminabile di labbra carnose e falsa compassione.

Escano,

Le ho fatte mie all’epoca del mio splendore.

Volevo una donna al giorno

Per non vivere mai due volte con lo stesso viso sotto gli occhi.

Ma non sono più quello che ero.

Diteglielo.

Che nessuno venga più a baciarmi la mano.

Che nessuno venga più a tentare su di me nuovi rimedi per darmi sollievo.

Che sia sigillata la porta

Lasciatemi in pace.

Ho un invitato d’eccezione

E voglio essere tutto per lui.

Fuori.

Ho chiuso con il mondo.

Fuori,

Fuori!

Ecco.

Adesso siamo soli, tu ed io.

Guardo la tua ombra che si disegna sul muro,

La tua ombra che cresce.

So che è il volto del dio del basso, che è qui, sul muro bianco del mio palazzo di marmo.

Il volto dei morti nel caldo dell’estate babilonese

Ancora però non riesco a distinguere i tuoi lineamenti.

Non ho paura,

Puoi ingrandirti a tuo piacimento,

Riempire la mia camera intera,

Ti invito.

Sii mio ospite,

Avvicinati,

Avvicinati, so chi sei.

Sto per morire.

Presto starà a te invitarmi nel tuo palazzo.

Mi domanderai il nome dall’alto del tuo trono di quarzo,

Poi, senza dire niente, peserai la mia vita, come hai pesato quella di miliardi d’altri uomini prima di me,

E ciò non durerà né più né meno.

Io non voglio essere giudicato con l’auna della tua bilancia comune.

Io voglio di più.

Vieni,

Avvicinati.

Ti chiedi cosa desideri

E perché parli.

Ti chiedi come mai io ti veda e per quale miracolo tu mi senta.

È la prima volta, non è vero, che senti la voce di un uomo?

E questo ti lascia interdetto.

Ti lasci cullare dalla musica delle mie frasi,

Segui il mio pensiero

E questo dialogo nuovo con un uomo ti spaventa e ti incanta al tempo stesso.

Dall’inizio del mondo, quelli che vengono a te sono muti,

Ombre impaurite che camminano a testa bassa.

Tu le squadri con lo sguardo

e le porti nel Limbo.

Mai nessuno di loro pronunciò una parola.

Però è che da te non venne mai un uomo.

Erano solo cadaveri,

Corpi vuoti nei quali soffiava il vento.

Oggi tu vieni in questa camera per rapirmi come hai rapito tutti gli altri

Ma io ti parlo, tu mi senti

E resti qui, preso dallo spavento.

Non aver paura,

E avvicinati ancora.

Ti vedo male.

Una forma indistinta sui muri bianchi della camera.

Sarò paziente.

Il tuo volto finirà per delinearsi.

Guarda questo piccolo cofanetto d’oro che porto al collo.

È il mio tesoro più prezioso.

Guarda, non contiene nient’altro che poche foglie di piante seccate.

Vedi?

Lo apro davanti a te.

Sottili foglie seccate impilate le une sulle altre.

Ne porto una alle labbra e la mastico piano.

Sono foglie di morte,

Sconosciute ai mortali.

Le ho custodite su di me per tutti questi anni in previsione di questo momento.

Le mastico con lentezza

E questo sapore non ha uguali.

È grazie ad esse che io ti vedo e tu mi senti.

Sono le foglie della via di mezzo.

Le mastico ed è come non essere più vivo del tutto.

Le mastico e affronto ora la mia ultima conquista, il mio ultimo combattimento.

Alessandro è colui che vedrà la morte da vivo.

Ti racconterò ciò che fui

E tu berrai ogni mia parola,

sperando persino che non muoia troppo in fretta.

Sì, Alessandro farà impallidire il dio dei morti,

per lo stupore prima,

per l’estasi poi.

Estratto dal testo inedito La tigre blu dell’Eufrate di Laurent Gaudé, traduzione di Simona Polvani, depositato presso la SIAE (Italia) e la SACD (Francia).

Per ulteriori informazioni o se foste interessati a leggere il testo integrale: simona.polvani@gmail.com

 

di SIMONA POLVANI, mercoledì 7 luglio 2013, ore 02.54

Tweet_intervista F&A - 3 ottobre

Tweet_intervista F&A – 3 ottobre

Dal lunedì 1 al venerdì 5 ottobre, 2012, ogni mattina ci siamo dati appuntamento con Fanny & Alexander sul social network Twitter per una Tweet_intervista.

Luigi De Angelis, regista, scenografo, grafico, filmmaker, light e sound designer (suo maestro Luigi Ceccarelli), assemblatore musicale e performer, e Chiara Lagani, drammaturga, scrittrice, studiosa del linguaggio, costumista e attrice – i fondatori della bottega d’arte Fanny & Alexander a Ravenna nel 1992 – si sono alternati nelle risposte alle due domande che ogni giorno ho posto loro. Il nostro hashtag era #Twint.

Ne è nata un’intervista ricca di suggestioni, enigmatica, dalla parola sintetica e complessa, divertente, a tratti mirabolante, imprendibile, tra citazioni di opere d’arte, reinterpretazioni nabokoviane, paesaggi desertici e elettronici, anarebus e premi per i “twitterers”.

Per chi non avesse potuto seguirla su Twitter, oppure volesse rileggerla, ecco qui la nostra Tweet_intervista in versione integrale, trascritta così come si è svolta su Twitter, giorno per giorno e Tweet per Tweet.

Buona lettura!

1 ottobre

#01

Simona Polvani
@fannyalex_info Tweet_intervista a Fanny & Alexander- Dal 1 al 5 ottobre / 10 domande in 5 giorni, due al dì/ Stiamo per iniziare #Twist

Simona Polvani
@fannyalex_info D1-Genesi/Quando e sotto quale spinta Chiara Lagani&Luigi De Angelis hanno creato Fanny & Alexander, bottega d’arte? #Twint

Fanny & Alexander ‏
@SimonaPolvani R01/1 A 16 anni per amor del Gioco, sotto la spinta del suo grande ardore.

Fanny & Alexander
@SimonaPolvani R01/2 Nel #Gioco il #giocatore… “Smettila di dire giocatore! O sei tu o sono io.” Dice Van, nostro alias, in #Ada o ardore.

#02

Simona Polvani
@fannyalex_info D2- Genesi 2 / Fanny & Alexander, film #Bergman: quale immaginario ha prodotto in voi per “adottarne” il nome? #Twint

Fanny & Alexander ‏
@SimonaPolvani R02/1 Nel film Fanny è bionda, incantevole, piena di stupore. Alexander selvatico, geniale, pieno di furore… #Twint

Fanny & Alexander ‏
@SimonaPolvani R02/2 … #Fanny e Alexander sono 2. Bambini. Il loro mondo pieno di mistero: magico, terribile, splendore. #Twist

Fanny & Alexander ‏‪
‪@SimonaPolvani R02/3 ‪http://youtu.be/ApLWNgsLo2A  F ‪#Twint

Simona Polvani
@fannyalex_info Grazie per le risposte alle prime due domande del nostro primo giorno di Tweet_intervista. 🙂 A domani! #Twint

Luigi De Angelis @SimonaPolvani Grazie a te! A domani! #Twint

2 ottobre

#03

Simona Polvani
@fannyalex_info D3-Ogni vostro progetto si compone di più tappe in varie forme e anni:come interagisce il tempo con le forme create? #Twint

Fanny & Alexander ‏
@SimonaPolvani R3/1-Amiamo l’immagine della spirale. Da un centro si percorre un cerchio, ma sempre più in profondità.

Fanny & Alexander ‏
@SimonaPolvani R3/2 Massimo Conti di #Kinkaleri un giorno ci ha detto che siamo delle talpe. Il tempo permette di raccogliere le scorie.

Fanny & Alexander ‏
@SimonaPolvani R3/3-Si è come dei molluschi, si lavora attorno a un granello di polvere, in vista di una perla. Si aspettano le onde.

Fanny & Alexander ‏
@SimonaPolvani R3/4 Louise Bourgeois #Twint http://yfrog.com/odlasppj

Tweet R3/4 Louise Bourgeois

Tweet R3/4 Louise Bourgeois

#04

Simona Polvani
@fannyalex_info D4-Come si sviluppa il processo di scrittura drammaturgica, quanto prima e quanto in prova?Improvvisazione in scena? #Twint

Fanny & Alexander
@SimonaPolvani
R4/1-Ogni spettacolo, ogni forma chiama il suo processo di scrittura. Non c’è un metodo predeterminato. #Twint

Fanny & Alexander
@SimonaPolvani R4/2-Si tratta di una tessitura, connettere dei fili tra loro, annodarli, catturare. Scrivere=essere un ragno/madre. #Twint

Fanny & Alexander ‏
@SimonaPolvani R4/3-Louise Bourgeois, Mère. http://yfrog.com/eszptchj

Tweet R4/3 - Mère, Louise Bourgeois

Tweet R4/3 – Mère, Louise Bourgeois

Fanny & Alexander ‏
@SimonaPolvani R4/4 La scrittura avviene soprattutto durante le prove ma anche istante per istante nello spettacolo, come in West. #Twint

Fanny & Alexander ‏
@SimonaPolvani R4/5-Scrivere istante per istante. West con #francescamazza : http://www.youtube.com/watch?v=n1u-0Q9NA-0 …

    3 ottobre

    #05

    Simona Polvani ‏
    @fannyalex_info D5 Multimedialità/ #Ambienti_sonori/ Qual’è il tuo concetto di musica e suono in rapporto al teatro? #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R5/1 il #suono è matrice dell’ #immagine, fonda l’idea di #spazio, del #testo, delle sue epifanie drammaturgiche. #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R5/2 (Nel teatro) I #suoni se ne stanno nella #musica per rendersi conto del #silenzio che li separa. #John #Cage #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R5/ 3 #Suono #Luce #Colore. Si adoperano luci e colori come parole di una lingua che nessuno più conosce” #Landolfi. #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R5/4 Fanny&Alexander “+/-, SOTTO” http://www.youtube.com/watch?v=KLKpakl4n98&feature=plcp … #Luigi #Ceccarelli #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R5/5 Fanny&Alexander “+/-, SOPRA” http://www.youtube.com/watch?v=JnuTgcw7PDs&feature=plcp … #Mirto #Baliani #Twint F

    #06

    Simona Polvani
    @fannyalex_info D6 Multimedialità /Proiezioni:l’immagine video come si iscrive a livello poetico-estetico nella drammaturgia scenica? #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R6/1 Il #video tra le molte cose apre finestre narrative, psichiche, spaziali in uno spazio che così si trasforma. #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R6/2 Il video costruisce la natura fantasmatica di un personaggio.#Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R6/3 Il #video si fa porta enigmatica, #3D, ipnotizza, crea presenze ologrammatiche, dipinge, fa a brani la #Memoria. #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R6/4 Fanny&Alexander #VillaVenus http://www.youtube.com/watch?v=hU8alRZUHHs&feature=plcp … #ZapruderfilmmakersGroup #Twint F

    Simona Polvani ‏
    @fannyalex_info Merci x risposte R5 e R6,ero presa nella visione dei video. #Landolfi, #Attori&Lettori http://urly.it/1hg7  #Twint A Domani!

    4 ottobre

    #07

    Simona Polvani
    @fannyalex_info D7 WEST e altro #Eterodirezione: Su cosa si fonda? #Attore #marionetta o #recitazione #collaborativa? #Twint @TempoRealeFI

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani @temporealefi R7/1 – Si fonda sull’ #architettura delle #scelte. #Twint

    Fanny & Alexander
    R7/2 – @SimonaPolvani @temporealefi E’ possibile far rinunciare a un’ #attrice o a un #attore alla loro #volontà #riflessiva?

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani @temporealefi R7/3 – Un #architettura delle #scelte è un sistema che si basa sulla spinta gentile o #nudge. #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani @temporealefi R7/4 – Se mettiamo una finta #mosca in un #orinatoio le fuoriuscite di #urina diminuiscono dell’80%. #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani @temporealefi R7/5 – #Persuasione occulta #Twint http://yfrog.com/nvuqgjzj

    Tweet R7/5 - Persuasione occulta

    Tweet R7/5 – Persuasione occulta

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani @temporealefi R7/6 – Nell’#architettura delle #scelte il #dispositivo ci induce a scegliere in una precisa direzione. #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani @temporealefi R7/7 – L’ #attrice #eterodiretta si abbandona agli input esterni e alle scelte dell’ #istinto. #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani @temporealefi R7/8 – All’#Istante 2 complici somministrano i testi e i gesti all’attrice che li reinterpreta. #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani @temporealefi R7/9 – “Il coro delle petulanti voci amiche” lo definì #FrancoQuadri –http://www.fannyalexander.org/archivio/archivio.it/essays_west.htm#

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani @temporealefi R7/10 – Si attiva una #memoria animale. Francesca Mazza parla di una #vertigine simile alla #trance.

    Fanny & Alexander ‏@fannyalex_info 4 Ott
    @SimonaPolvani @temporealefi R7/11 – Fotografia di #enricofedrigoli, #francescamazza http://www.fannyalexander.org/archivio/gallery/west05.jpg …

    Tweet R7/11 - Francesca Mazza in West - Foto di Enrico Fedrigoli

    Tweet R7/11 – Francesca Mazza in West – Foto di Enrico Fedrigoli

    #08

    Simona Polvani ‏
    @fannyalex_info D8 T.E.L #Lawrence_d_Arabia #fallimento del #teatro.Come nasce il parallelismo e si traduce nel dispositivo_scenico? #Twint

    Fanny & Alexander
    @SimonaPolvani R8 /1 – #Utopia del #teatro. L’utopia abita un orizzonte fallimentare. Quel che conta è la tensione verso! #Twint

    Fanny & Alexander
    @SimonaPolvani R8/2 – Un’#attrice e un’#attore tentano un #dialogo satellitare, ognuno di fronte al proprio #deserto. #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R8/3 – Il #deserto è un tavolo preparato, un’invenzione di #temporealefi. #Twint Foto #enricofedrigoli http://www.fannyalexander.org/archivio/gallery/tel27.jpg 

    Chiara Lagani in T.E.L. - Foto di Enrico Fedrigoli

    Tweet R8/3 – Chiara Lagani in T.E.L. – Foto di Enrico Fedrigoli

    Fanny & Alexander
    @SimonaPolvani R8/4 – Lo scrittore @TaharLamri ci ha detto: nel deserto sembra che non ci sia niente, invece c’è tutto. http://yfrog.com/esybyfqj

    Tweet R8/8 - Il deserto

    Tweet R8/4 – Il deserto

    Fanny & Alexander
    @SimonaPolvani R8/5 – Toccare questo tavolo significa captare tutti i suoni della #rivolta, proiettarsi nella bruma del #deserto. #Twint

    Fanny & Alexander
    @SimonaPolvani R8/6 – Da questa bruma giungono le #Idee e le voci dell’#Altro a km di distanza.

    Fanny & Alexander
    @SimonaPolvani R8/7 – Si tende a lui o a lei così come lo spettatore è teso verso la #scena. Non potrà mai raggiungerla. #Twint

    Fanny & Alexander
    @SimonaPolvani R8/8 – Mirto Baliani ha composto l’orizzonte musicale di questo dialogo impossibile. http://www.fannyalexander.org/archivio/archivio.it/telvinile_home.htm …

    5 ottobre

    #09

    Simona Polvani
    @fannyalex_info D9 Pubblico, spettatore o attore?Quale esperienza gli propongono le vostre creazioni artistiche? #Twint pic.twitter.com/29jgXthz

    Dorothy. Sconcerto per Oz - Foto di Marco Caselli Nirmal

    Tweet D9 – Dorothy. Sconcerto per Oz – Foto di Marco Caselli Nirmal

    Fanny & Alexander
    @SimonaPolvani R9/1 Lo #spettatore è al centro di uno spazio irto di domande. Lo stesso tra #attore e #opera, #artista e #spettatore. #Twint

    Fanny & Alexander
    @SimonaPolvani R9/2 Chiamiamo questo spazio #mistero. pic.twitter.com/7tkWM2Ln

    Tweet R9/2 - Mistero

    Tweet R9/2 – Mistero

    Fanny & Alexander
    @SimonaPolvani R9/3 Talvolta esso ha preso la forma di un #rebus. #ZapruderfilmmakersGroup #Twint pic.twitter.com/k3fAsECS

    Tweet R9/3

    Tweet R9/3 – Ada, cronaca famiiare – Rebus

    Fanny & Alexander
    @SimonaPolvani R9/4 Talvolta del sentiero spiraliforme di un #viaggio. #O/Z #Twint pic.twitter.com/esqJSilK

    Tweet R9/4 - Il viaggio

    Tweet R9/4 – Il viaggio

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R9/5 Oppure si è chiamato #nostalgia.#Twint pic.twitter.com/HZeomrlN

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R9/6 Una volta è divenuto #alfabeto di lingue impossibili eppure familiari. #Twint pic.twitter.com/qYEep4Ej

    Fanny & Alexander
    @SimonaPolvani R9/7 #Dispositivo. #Mappa. #Pavimento sonoro. #Enigma. Reiterata domanda di fanciullo.#Twint pic.twitter.com/fgplaJML

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R9/8 Comunque lo si chiami esso è là. È questo spazio ampio che fonda sempre il fatto profondo che chiamiamo #teatro. F

    #10

    Simona Polvani
    @fannyalex_info D10 #Progetto_Discorsi /Retorica. Come può il discorso diventare dialogo tra individuo/comunità? #Twint pic.twitter.com/zFaUoUN5

    La Scuola di Atene di Raffaello Sanzio

    La Scuola di Atene di Raffaello Sanzio

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R10/1 Quando è che un gruppo attorno a un individuo che pronuncia un #discorso si chiama #pubblico? Quando #comunità? #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R10/2 #Discorso è pratica di corrispondenza, luogo “comune”, misterioso e pulsante, vitale, dura e aperta domanda? #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R10/3 Sarà gesto, incontro, colore, scoria, nome, indizio, regola o comportamento? #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R10/4 La risposta a queste domande è la nostra tensione dei prossimi anni. #Twint F

    #11

    Simona Polvani ‏
    @fannyalex_info D11 C’è traccia sonora o #rebus che volete lasciare alla nostra #Tweet_intervista? #Twint @Tamburo_Kattrin @RobertoRinaldi1

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R11/1 “Lascito” di F&A per Tweet-intervista: si indice qui un concorso a premi per #twitterers. Seguono #istruzioni. #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R11/2 #Anarebus: è un #rebus la cui #soluzione si ottiene anagrammando le parole secondo il #diagramma numerico dato. #Twint

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R11/3 #ashtags: #tradimento, #media, #spettatore, #sogno, #T.E.L., #attivo, #passivo, #lettere. #Twint pic.twitter.com/I2Fr9L6S

    Tweet R11/3: Anarebus

    Tweet R11/3 – Anarebus

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R11/4 Premio per il #solutore dell’ #anarebus: #vinile con musiche di #T.E.L di #Mirtobaliani. #Twint pic.twitter.com/B7UTHYeT

    Fanny & Alexander ‏
    @SimonaPolvani R11/5 Con la risposta (@fannyalex_info e @SimonaPolvani) fornire anche un indirizzo postale. Grazie a tutti e a presto! F&A F

    Simona Polvani ‏ ‪
    @fannyalex_info Come dicono qui in Paris, “c’est génial”!Un lascito che è una meraviglia! Grazie di 3> x questo e x Tweet_intervista ‪#Twint

    Fanny & Alexander
    @SimonaPolvani grazie a te! A presto!