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Simona Polvani in Disorientamento /Girare. Foto: Ludivine Allegue. Analog photography [Leica CL, f/5.6], Musée des Arts et Métiers (Parigi), 2016.

La poesia disorientamento / girare è stata scritta per la creazione di poesia sonora e performance site specific omonima.


disorientamento / girare

creazione di poesia sonora e performance site specific (2016)

Testo, voce e performance         Simona Polvani

Musica elettronica                       Frédéric Mathevet 

Kimono, realizzazione Valentina Lacmanovic, dipinto Ludivine Allegue Make-Up    Ovidiu Batista

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La performance Disorientamento/girare è stata creata in collaborazione con Ludivine Allegue e Valentina Lacmanovic, come prima parte della loro performance DISORIENT, e presentata il 3 e 4 dicembre 2016 al Musée National des Arts et Métiers durante il Festival Corps dessinant in risonanza con la mostra Machines à dessiner allestita in quei giorni al museo. Simona Polvani ha partecipato con la propria performance danzata il 4 dicembre, mentre la creazione di poesia sonora realizzata con il musicista Frédéric Mathevet ha introdotto DISORIENT sia il 3 che il 4 dicembre.

© Simona Polvani poesia disorientamento girare, 2016

REST IN PEACE  

au pied de l’arbre 

dans l’écume des herbes

REST IN PEACE  

sans mort apparente 

seul le sommeil nu de mémoire

et le vent pour disperser les scories 

qui obstruent les lignes des veines

REST IN PEACE  

sans compter le temps

ni en secondes ni en jours

jusqu’à ce que neuve renaître à la verticale 

reprendre les trames des pas

même au bout de la nuit

la langue pleine de soleil

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Copyright © 2023 Simona Polvani, À bras le texte /Action_Autoportrait en reflet avec arbre /workinprogress (photo by iPhone) + Rest In Peace (poème)

di SIMONA POLVANI

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I. PROLOGO

AGLIANA 05_09_2021

Non scrivo di televisione né di musica, solitamente. Scrivo di arti performative e di arte contemporanea. Scrivo di performance. E l’atto di scrivere non avviene mai senza aver visto in live un(’)artista e averci condiviso uno spazio d’aria.Il testo che leggerete nasce in assenza di tale spazio e di live. È frutto di una posizione equivoca, quella di una spettatrice televisiva che guarda una performance musicale in una nota kermesse canora italiana, il Festival di Sanremo. Pur consapevole di essere di fronte a uno schermo e a una performance televisivi, da una parte prova a bucarlo, come lo buca l’artista di cui ha deciso di scrivere, dall’altra a trattarla come una performance teatrale live. Come se i miei occhi potessero muoversi davvero su tutti i lati di un palcoscenico, gettarcisi dentro, coglierne ed isolarne i dettagli, e non fosse invece l’occhio della telecamera, inquadrando, a stabilire e imporre il punto di vista, nella logica di una ricerca di effetti che “niente pare davvero far vedere”, almeno secondo la libertà di sguardo della spettatrice teatrale che sono. Si tratta di un esperimento da equilibrista, frutto di un periodo – pare esagerato ancora definirlo epoca – in cui la pandemia del covid-19 ci ha privati dello spazio del respiro comune in ogni ambito e in particolare nel mondo dello spettacolo e dell’arte, condannati a prolungate chiusure. L’urgenza di scriverne, nella procrastinazione di un live diventato impossibile, si è diluita ma non persa. Piegata come un giunco – strategia di sopravvivenza che ho rivaluto –, essa si è radicata nel disegno di un ritratto d’artista, a distanza, anche temporale. Lasciato decantare il diktat dell’attualità, è il caso di dire “chi se ne frega”. Dalla primavera riemerge adesso, en septembre.

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II. IL CORPO

PARIGI 22_04_2021

”È giunto il nostro momento. La nostra stessa fine in questa strana fiaba. La più grande storia raccontata mai. Maschere dissimili recitano per il compimento della stessa grande opera. Tragedia e commedia. Essenza ed esistenza. Intesa e incomprensione. Elementi di un’orchestra troppo grande per essere compresa da comuni mortali. È giunto il nostro momento. Colpevoli, innocenti. Attori, uditori. Santi, peccatori. Tutti insieme sulla stessa strada di stelle. Di fronte alle porte del Paradiso. Tutti con la stessa carne debole. La stessa rosa che ci trafigge il petto. Insieme, inginocchiati davanti al sipario della vita. E così sia. Dio benedica Solo Noi Esseri Umani”

(Achille Lauro, Quinto quadro, Sanremo 2021)

“Ceci n’est pas une pipe” (Questa non è una pipa), scriveva Magritte nel suo celebre dipinto La Trahison des image(1928-29), sotto la raffigurazione di una pipa, creando a prima vista un paradosso, mentre affermava il principio che la rappresentazione pittorica di un oggetto non è l’oggetto stesso.

“Performance teatrali in quattro minuti” e “quadri”, tra arte figurativa e tableau vivant, definisce Achille Lauro le sue quattro esibizioni musicali di Sanremo 2020 e le cinque creazioni – una per ogni sera del festival – che ha realizzato come ospite d’onore per Sanremo 2021.

Di riferimenti al teatro sono disseminate le sue canzoni, dove si incontra persino la parola “teatralità” (brano Come me, album Lauro, 2021). Del resto, il suo romanzo di esordio si intitolava Sono io Amleto (Rizzoli, 2018). Può apparire rischioso avventurarci in questa seppur breve analisi dal punto di vista scenico di performance – nel senso largo di “esibizione”, “spettacolo” – la cui natura prima è incontestabilmente musicale, e che sono concepite all’interno di un festival che è un programma televisivo. 

Tuttavia, questa rivendicazione di genere artistico da parte dell’artista romano, e quindi in un certo senso di sconfinamento del genere, assieme ad alcuni elementi scenici propri delle sue performance, ci sembrano argomenti legittimi per interessarsi alle sue esibizioni anche dal punto di vista teatrale e performativo.

SANREMO 2020, SLIDES DI PERSONAGGI

Che la musica possa essere al centro di performance teatrali, come filo conduttore (trama e personaggio) e non semplicemente come elemento di sottolineatura o generatore di atmosfere, non è una novità. Il riuscitissimo spettacolo MDLSX (2015) dei Motus si snoda nell’esperimento di un Dj/Vj set mirabolante della performer Silvia Calderoni. “Performance-Mostro”, secondo la definizione dai suoi autori, essa si propone come “un inno alla libertà di divenire, al gender b(l)ending, all’essere altro dai confini del corpo, dal colore della pelle, dalla nazionalità imposta, dalla territorialità forzata, dall’appartenenza a una Patria”. Temi e intenti che ritroveremo nelle performance di Achille Lauro, così come l’idea formale della fuoriuscita dai generi, anche artistici. Mentre Silvia Calderoni nel perseguimento di tali visioni introduce in MDLSX la musica come elemento di rottura della performance teatrale, Achille Lauro fa un movimento inverso. Nelle performance musicali sperimenta una ricerca sulla teatralità, cimentandosi in una forma di spettacolo basata sul travestimento. Per quanto in Italia già introdotta quaranta anni fa da Renato Zero, come lo stesso Achille Lauro riconosce, essa rompe con l’esibizione musicale classica nell’ambito del rock-pop.

Per il brano Me ne frego, proposto a Sanremo 2020 in duo con il chitarrista e producer Boss Doms, Achille Lauro, assieme al suo art director Nicolò Cerioni ( e al suo produttore Angelo Calculli), costruisce una performance in cui nella ripetizione pressoché invariata ogni sera della partizione gestuale, evoca, senza recitarli, San Francesco, David Bowie/Ziggy Sturdust (già maestro sublime del glam rock), la Marchesa Luisa Casati Stampa e la regina Elisabetta I Tudor. Si tratta di figure scelte come emblemi di rottura e anticonformismo, funzionali a un discorso sulla libertà e la liberazione dagli stereotipi di genere. Ognuno dei personaggi è rappresentato attraverso un riferimento iconografico e/o gestuale (per esempio la spogliazione del mantello per San Francesco), e incarnato in un costume specifico che agisce come catalizzatore scenico, frutto della collaborazione con lo stilista Alessandro Michele per Gucci. L’iconica Maison italiana ha fatto della fluidità di genere l’ossatura delle sue ultime collezioni, interventi nel mondo dell’arte e scelta di testimonial: Achille Lauro e la stessa Silvia Calderoni, che è protagonista del film in sette episodi Ouverture Of Something That Never Endeddiretto dal regista pluripremiato Gus Van Sant e da Alessandro Michele. I costumi firmati Gucci per le performance di Lauro non sono solo glamour, ma strepitosamente belli. Grazie alla loro strutturazione architettonica e alle scelte cromatiche e materiche, contribuiscono a introdurre una componente plastica nella dimensione scenica, tra pittura e scultura. Mai didascalici, estraendo un motivo simbolico emblematico, lo reinterpretano e attualizzano, in una miscela di passato e presente, segni femminili e maschili. Reinventano un’immagine futura sui generis. Nessun personaggio, nella stratificazione, appare univoco. La trasparenza delle citazioni impedisce inoltre che Achille Lauro in scena sia sempre “solo se stesso”. Come egli dichiara, non si tratta infatti “di interpretare un personaggio, ma di indossarne gli abiti”. Tale assenza di personificazione, riconoscibile, fa sì che il corpo di Lauro e la sua identità restino visibili e presenti oltre il costume. Ne risulta una performance ibrida, per sovrapposizioni, dall’apparenza fluida e magnetica, in cui coesiste il personaggio evocato con la persona – anche in senso di maschera – di Achille Lauro, performer, rock star che indossa l’abito di un’altra figura.

La presenza di Boss Doms, partner in crime di Lauro, diventa il fulcro del discorso sui generi. Il bacio che con un gesto finanche rapace, l’artista sera dopo sera imprime sulla bocca di Boss Doms, oltre a concretizzare la manifestazione di un desiderio omosessuale sul palco sanremese, costituisce un rituale di smarcamento rispetto ad assegnazioni definite di genere sessuale, tanto più nel rifiuto categorico di Lauro di identificarsi in un orientamento sessuale definito come etero o omossessuale o nell’identità binaria.

SANREMO 2021, TABLEAUX VIVANTS 

Per Sanremo 2021, il dispositivo si struttura attorno a una costruzione scenico-drammaturgica che intende acquisire maggiore complessità. Innanzi tutto, non si tratta più di “indossare” un personaggio diverso per lo stesso brano musicale, ma di costruire cinque tableaux vivants per altrettanti pezzi rappresentativi dei generi musicali del glam rock, del rock & roll, del pop, del punk, attraverso canzoni del repertorio dello stesso Lauro: Solo noi per il glam rock; Bam Bam Twist per il rock & roll, Penelope per il pop, Me ne frego per il punk, ed infine C’est la vie come omaggio alla atmosfere orchestrali che appassionano Lauro. La finalità è cogliere “l’essenza” di tali generi, ricorrendo a una costruzione allegorica. Per realizzarla, Achille Lauro, accompagnato ancora da Nicolò Cerioni, ricorre alla produzione, combinazione e sovrapposizione di immagini, che sono a loro volta il prodotto di un procedimento citazionale, da sempre la sua cifra poietica ed estetica anche nelle creazioni musicali. 

La visione allegorica, per quanto trovi in Lauro il suo centro, non è più solo “indossata” da lui, attraverso i costumi, alcuni particolarmente sorprendenti, creati ancora da Alessandro Michele/Gucci. Essa è condivisa e disseminata tra gli artisti ospiti invitati a recitare, danzare, cantare, suonare nei quadri: Monica Guerritore, Claudio Santamaria e Francesca Barra, Emma Marrone, Fiorello, Boss Doms, il danzatore Giacomo Castellana. Figure reali del panorama musicale o fittizie della mitologia greca, spezzoni di film, opere dell’arte classica e contemporanea, simboli della religione cristiana, si iscrivono e sono portati, quindi, anche con verve ironica e a tratti iconoclasta, dai corpi di Lauro e degli altri artisti protagonisti. 

Senza voler ripercorrere i tanti giochi di rimandi presenti nei vari quadri, ci limitiamo a fornire alcuni elementi che permettano di considerare la pluralità di riferimenti e suggestioni che si intrecciano e stratificano nelle varie performance. Nel primo quadro, con una chioma azzurra sfrangiata, Achille Lauro rende omaggio al glam rock, indossando un costume da angelo combattente e Cupido. È una evocazione inequivocabile del personaggio del cantante Brian Slate, già ispirato a David Bowie, interpretato dall’etereo Jonathan Rhys Meyers, nel film capolavoro Velvet Goldmine (1998), che proprio del glam rock traccia la storia.Nel quadro dedicato al pop, Monica Guerritore recita un breve intenso monologo ispirato al mito di Penelope, rivisto in chiave femminista. Tutta la scena risulta ispirata all’epoca classica. All’interno di una scenografia di colonne antiche e alberi dorati, Lauro con peplo e corona d’alloro, interamente dipinto d’oro, in piedi su una stele, statuario e fragile a un tempo, duetta con Emma Marrone, anche lei tutta in oro. La coppia Claudio Santamaria e Francesca Barra mima Vincent Vega/John Travolta e Mia Wallace/Uma Thurman nel celebre twist del film Pulp Fiction, per il quadro sul rock & roll, mentre Lauro si cimenta nella citazione di Mina. Ispirandosi a una serie di foto della cantante, realizzate negli anni ’80 da Mario Balletti, ne riproduce trucco e acconciatura, giocando con una diavolesca lunghissima treccia rossa. Per il quadro sul punk di Me ne frego, Achille Lauro ritrova Boss Doms. In versione sposa, il primo, fluttua in un candido abito–nuvola di piume di struzzo e organze, imbracciando la bandiera italiana, come una nouvelle Liberté guidant le peuple di Delacroix. In tailleur bianco e ornato di velo nuziale, Boss Doms riceve il suo bacio, come a Sanremo 2020, a suggellare il connubio. La performance si vuole però anche omaggio a Sid Vicius dei Sex Pistols nella sua caustica interpretazione di My Way

Per quanto si ricorra certo ad alcuni processi di teatralizzazione, questa – ed è ciò che risulta interessante – non risulta mai completa, perché la maschera e i ruoli che Achille Lauro di volta in volta “recita” appaiono solo come una delle tante sfaccettature cangianti del suo corpo, al contempo impacciato, enigmatico, fragile e guerriero, e del suo volto imprendibile. Risalta l’energia pulsionale, che attraversa le interpretazioni. A volte incanalata in un’immobilità apparente, altre debordante in cascate, scivolate e rotolate a terra repentine, a cui ci hanno abituato molte star del rock e punk, appare in una partitura di gesti probabilmente prestabiliti, ma che non si organizzano in una coreografia millimetrata, lasciando spazio a un margine vitale di improvvisazione.

Dal punto di vista della composizione, ogni quadro è completato da un’opera video, in bianco e nero, che attraverso un processo di dissociazione, cristallizza come icona un momento della performance live di Achille Lauro, mentre la voce recita in sottofondo testi poetici, impregnati di immaginario teatrale. Definiti “lettere”, in forma di appello e preghiera rivolti al mondo come a un ipotetico Dio creatore dell’umanità, essi rappresentano i manifesti esistenziali e politici dei quadri.

L’iconografia religiosa cristiana, da sovvertire, attraversa le performance e segna anche i momenti di incursione dell’artista nel territorio della body art, di cui alcune pratiche di mutilazione sono ricreate fittiziamente a uso drammatico e spettacolare. Nel primo quadro, le lacrime di sangue grondanti sul viso dell’artista rimandano immediatamente alla lacrimazione della Madonnina di Civitavecchia – come Achille Lauro riconosce. Altri riferimenti ci paiono suggestivi. Ancora nel mondo del pop-rock, il sanguinamento portato in scena da Lady Gaga (MTV 2009). In quello della body art, in particolare di area romana – la stessa in cui Achille Lauro si è formato – un precedente pare costituito dalla performance Human Installations III (2009) di Kyrahm, in cui l’artista stilla dalle palpebre vero sangue. Nell’ultimo quadro, con la sua interpretazione suggestiva della canzone C’est la vie, Lauro si presenta con il petto trafitto come un ex voto da tre rose rosse e si offre agli insulti in sottofondo dei suoi haters. Il richiamo all’iconografia della Vergine addolorata, rappresentata con una rosa in petto e la spada, e insieme a gran parte della storia della body art, appare evidente. Ma anche in questo caso non si tratta che di una citazione. Mentre nella body art le mutilazioni e sofferenze che gli artisti si infliggono sono infatti reali, nel caso delle performance di Achille Lauro, si tratta di finzione scenica, creata grazie ai magistrali interventi di Andrea Lanza, esperto di special make-up per il cinema. Si realizza un “come se” – ciò che secondo Richard Schechner costituisce la differenza tra teatro e performance –, producendo sì un effetto spettacolare, ma riducendo in parte la portata dell’evento. Nel trompe l’oeil, la realtà risulta così una finzione, artificio.

PERFORMARE IL GENERE

Come per le performance a Sanremo 2020, anche per quelle di Sanremo 2021, ogni rappresentazione vale per sé, ma acquisisce senso come gesto e come visione unitaria. Non tutti i tableaux sono apparsi convincenti, dal punto di vista del dispositivo drammaturgico e dei suoi snodi. Debolezze risultano nella gestione della compresenza di situazioni sceniche di diversa natura (canto/danza/recitazione), anche a causa dei limiti di un palcoscenico, come quello sanremese, troppo ingombrante e connotato scenograficamente, che sarebbe arduo se non impossibile far diventare neutro. La stessa regia televisiva a volte è risultata inadeguata. 

Resta tuttavia il valore performativo dell’esperienza proposta da Lauro. Il discorso sui generi musicali si è rivelato ancora funzionale ad affrontare le questioni di genere. Fotografando la condizione storico-sociale dell’emergenza e dell’affermarsi di un genere di musica, come atto rivoluzionario rispetto a uno status quo, e denunciando la natura dei pregiudizi di varia natura (sesso, razza, condizione sociale…), i quadri invocano e incitano alla liberazione, verso la realizzazione di un’identità anarchica, autarchica e autonoma, indipendentemente dai valori imposti dalla cultura dominante e patriarcale. Per costruire tale discorso su genere e identità, Lauro dispiega un immaginario “di sintesi” proprio, risultato della rielaborazione e dall’assemblaggio di esperienze umane ed artistiche varie, – nella combinazione di un dispositivo musicale-teatrale-performativo, di live e video. Il suo corpo rimane performativo, nella porosità di presenza reale e costanti ricerche di artificio e metamorfosi, portatore di domande anche quando invece la sua voce nelle “lettere” parrebbe formulare affermazioni e dare risposte.

Se la performatività attiene, come tra gli altri lo stesso Schechner e Judith Butler sostengono, alla ricerca e alla costruzione di identità attraverso un processo di ripetizione di comportamenti, nel loro tentativo di decostruzione di regole e ruoli sociali costrittivi e nella sommatoria delle ripetizioni che propongono, le performance di Achille Lauro contribuiscono a performare la realtà e le identità, ossia in un certo senso, a ri-costruirle, rendendole più effettive secondo una visione propria. Come gesto politico di autodeterminazione, “essere genericamente niente”, come Achille Lauro sostiene, può rappresentare allora la porta di accesso a un paradiso di spazi di autenticità sconfinati. 

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III. ELEVATIONS

PARIGI 20_06_2020

 

Negli Airpodes in loop una scia di brani di Achille Lauro, riflettendo a un’intervista che vorresti fare. 

È la vigilia del solstizio d’estate. Da quando la pandemia ha avuto inizio, il corpo tenuto lontano persino dall’aria. Passi esplodono nel disegno di una personale mappatura di Parigi, che ritracci ora, da mesi di assenza. Les Tuileries sono un terreno di gioco, levitazione dell’essere aspirato dalla luce in diagonale. Gioco di riflessi. Presenza in trasparenza. La parte in ombra. L’impronta. 

Le 27 juillet 2021, j’ai eu l’honneur et le grand plaisir d’être invitée par Franck Ancel, dans son MAT@CeS #09 intitulé pour l’occasion “performance où poème f-estival”.

Connectée via mon iPhone /Zoom depuis la campagne de la contrade du Ronco, à Agliana, ma petite ville d’origine dans la plane de Pistoia (Toscane), et sollicitée par Franck j’ai pu parler de certains aspects de ma recherche en art et en performance et de ma création artistique, notamment poétique-et-visuelle, aspects qui me tiennent à coeur. L’environnement était partie prenante de cette rencontre: une nature d’une part cultivée, d’autre part in-domestiqué qui se tenaient côte à côte, une villa au lointain et tout près un vieux hangar des machines agricoles abandonné et en ruine.

Une lecture de quelques vers de poésie en ébauche en français et d’un poème-fragment en italien brodée dans la robe-toile et poème-visuel “Così è”, dans des pages au vent, en clôture.

Et beaucoup de moustiques, invisibles dans la rencontre, qui ont peint de points rouge – au moins une centaine – mes jambes…en témoignage que la nature où on cherche de faire entretien-performance n’est pas toujours bienveillante…et elle nous plaît ainsi.

Merci à Franck Ancel, à Marie Molins, qui l’a assistée et à celles et ceux qui ont participé à cette rencontre.

Personnes/duo citées dans l’entretien: Barbara Formis, Mélanie Perrier, Laboratiore du Geste, Equipe EsPAS (Estétique de la performance et des arts de la scène)/ Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne, Pascale Weber, Jean Delsaux, Hantu (Weber + Delsaux), Damiano Meacci, Guido Mencari, Ludivine Allegue, Sylvie Roques-Aublanc, Isabelle Starkier, Louise Boisclair, Luciano Minerva.

Voici l’enregistrement sur YouTube, pour les personnes qui voudront le voir. Tout commentaire et impression seront les bienvenus.

RETOUR PAR IMAGES

Hangar pour machines agricoles, ruines, Ronco, Agliana. Photo: Copyright © 2021 Simona Polvani.
Simona Polvani, pendant l’entretien, Ronco, Agliana. Photo: Copyright © 2021 Giulia Gonfiantini.

Mes pages des poèmes, emportées par le vent, Ronco, Agliana. Photo: Copyright © 2021 Simona Polvani.

Couché de soleil sur la poésie, Ronco, Agliana. Photo: Copyright © 2021 Simona Polvani.

Photo: Hantu (Weber + Delsaux) 2021.

Arboretum – Jardins en mouvement

Performance

de Hantu (Weber + Delsaux)

en collaboration avec Simona Polvani

le 20 mai 2021 à 18h 

dans le cadre de l’exposition Vivant Végétal

à la Maison de l’Environnement du Val d’Yerres Val de Seine

Avec Marcia Almeida, Sylvette Annibal, Marie Chloé Barbe, Mariette Barret, Léa Boscher, Mary Caruchet, Jean Delsaux, Mamadou Drame, Polina Dubchinskaia, Etcha Dvornik, Elisa Felz, Barbara Formis, Violaine Fraisse, Dora Frey, Nicolas Fursat, Javad Homayounfar, Yun Tsai Hsinyun, Manon Jeanjean, Max Kaario, Jeanne Laurent, Marie Leclerc, Madeline Léna, Myriam Maatoug, Isabelle Maurel, Emma Millet, Bianca Moreira, Licelotte-Marlenin Nin-Mojica, Sylvie Pallez, Christel Pereira, Simona Polvani, Huguette Puttermilec, Hazhar Ramezani, Mireille Roustit, Gwenola Sanquer, André Sarfati, Thieffry Toscane, Tamara Milla Vigo, Pascale Weber, Kareen Wilchen, Wenjue Zhang, Xing Zhao.

Maison de l’Environnement du Val d’Yerres Val de Seine  

2 Avenue de la République, 91230 Montgeron 

(accessible de Paris par le RER D, 15mn de Gare de Lyon)


 

Dimanche 25 octobre, j’ai eu l’honneur de pouvoir raconter “l’histoire de l’écriture clandestine* de Gao Xingjian, Prix Nobel de Littérature 2000, à l’époque de la Révolution Culturelle en Chine et de lire un de mes poèmes, intitulé Dans les plis, inspiré par cette histoire, pour le projet #badtimestory de Romina De Novellis et Domus Artist Residency, que je remercie infiniment.
Pendant ce temps de couvre-feu pandémique, à 21h30, j’étais “dehors”, projetée sur un mur de la rue de Seine à Paris, à parler dans le l’air et en même temps visible en live streaming sur Facebook.
Cette présence par la procuration d’une vidéo, dans une ville deserte et désertifiée des humains, ça me paraît avoir le goût tenace d’un acte de résistance. Il se tient à l’espoir et ne renonce à oeuvrer, dans une simplicité, pour continuer à exister. Bravo à Romina pour son engagement dans ces temps si rudes…

* Ce texte, que j’ai écrit, est tiré de ma thèse de doctorat La performativité dans l’oeuvre et la pratique artistique de Gao Xingjian. Le poème Dans les plis fait partie de mon l’installation Dans les plis (poème, papier Fabriano 1.50mx10m, encre de Chine, fusain, 2019).

 

 

©Simona Polvani 2020

 

1.

@SimonaPolvani2020 Vista da casa 8_04_2020

@2020 Simona Polvani – Vue du confinement, Paris, 08 avril 2020, horaire: 10:20:24.

 

Aujourd’hui c’est le jour 51 du confinement en France. J’ai lue cette chiffre dans des comptes des ami.es, car en réalité, je ne tiens pas le compte des jours qui passent. Je les sens couler, mais les compter, ça aurait signifié de donner encore plus de lourdeur à une expérience étrange, inédite, effrayante dont j’ignore la fin. Chaque jour, aurait été comme une goutte de la torture chinoise… Alors, je laisse défiler les jours, un après l’autre.
Je me suis concentrée sur ce que je pouvais faire même confinée. Je me suis faite aspirer par “le dedans” de mon deux pièces, où je pouvais respirer sans crainte, et en même temps j’ai recherché parfois discrètement, parfois avidement, tous les signes de vie humaine, animale, vegetale au delà de mes fenêtres.

Oeil rapace, oeil contemplatif.

Et par là, j’ai construit des nouveaux jours, cherchant tenacement ce qui était en mesure de me donner de la joie – ou au moins de limiter l’angoisse – et de lutter contre l’immobilité à laquelle le confinement paraît me condamner (nous condamner).

 

2.

 

 

©SimonaPolvani 2020 - Screenshot 3 video Danza confinata 23_03_2020

©2020 SimonaPolvani – Screenshot video Danza confinata, Paris, 23 mars 2020, horaire: 20:46:00

 

©SimonaPolvani 2020 - Screenshot 2 video Danza confinata 23_03_2020

©2020 SimonaPolvani – Screenshot video Danza confinata, Paris, 23 mars 2020, horaire: 20:46:00

©SimonaPolvani 2020 - Screenshot 1 video Danza confinata 23_03_2020

©2020 SimonaPolvani – Screenshot video Danza confinata, Paris, 23 mars 2020, horaire: 20:46:00

 

Je crois que le fait qu’au moment où le coronavirus a commencé à ravager notre monde, je venais à peine de terminer mon doctorat, a joué dans cette nécessité de chercher, même enfermée, de ne pas “perdre mon corps”. Car je sortais juste d’une longue période d’un different type de confinement et d’immobilité.
J’ai commencé d’abord à marcher dans mon appartement, à faire milles, deux milles, trois milles, jusqu’à sept milles pas, une fois.
Ensuite, j’ai retrouvé la danse que dans la dernière année et demi j’avais presque perdue. J’ai ainsi scandé ces nouveaux jours par des petits rituels de temps dansé grâce aux magnifiques enseignant.e.s, maîtresses et maîtres qui ont converti les ateliers en séance à distance: Antonella De Sarno, et sa danse sensible, Lorna Lawrie, Carey Jeffries, Atsushi Takenouchi avec leurs différentes approches du butō. J’ai commencé à pratiquer du pilates avec la grandiose Caroline Berger (biopilates).
Le dimanche après midi, depuis deux semaines, je voyage idéalement (et pourtant quel bonheur inattendu…) de chez moi à Paris en direction de New York pour participer aux séances de yoga Vinyasa et de méditation animées par Barbara Verrochi et Kristin Leigh auprès de The Shala Yoga House.

Ces séances, de danse, yoga, pilates, se sont toutes transformées dans un formidable moment de vie. Chaque visage des différent.e.s participant.e.s depuis plusieurs pays est ainsi devenu comme une fenêtre ouverte sur le monde. Ce monde, qui m’a semblé de plus en plus insaisissable et menaçant à l’extérieur, a trouvé son miroir rassurant, plein d’espoir, dans ces visages et la portion d’intime – celui de nos maisons et des pratiques somatiques et spirituelles qu’on partage. La “zoomisation” n’a pas signifié une “zombisation”.
L’écran, les live streams, les visioconférences, ne sont non plus pour moi q’un simple moyen de communication. Ils bâtissent, ils sont un véritable espace commun. Il ont fait/ créé “des communautés”.

 

3. 

Parmi les rituels – les passions – que je venais à peine de reprendre avant que le covid-19 nous enfermait, il y avait le théâtre, au sens d’aller voir des spectacles, pas juste de l’étudier. [Les derniers mois de rédaction de la thèse avaient affecté aussi la fréquentations des ces lieux magiques, à la fois réels et utopiques, hélas !]

Une fois confinée, bien qu’abonnée à plusieurs newsletters, peut-être parce que j’étais déjà “au jeune” , je ne me suis pas trop intéressée aux différentes initiatives organisées par les théâtres qui, tout à coup, se trouvaient privés de leurs saisons.
Mais hier matin, pour des recherches liées à un article que je suis en train d’écrire, je me suis rendue sur le site de La Colline – Théâtre National (auquel d’ailleurs, j’ai été abonnée dans les deux dernières saisons).
Mon attention a été attirée par Au creux de l’oreille, que ce théâtre a lancé expressément pour ce confinement, réunissant 200 artistes amis de La Colline, qui offrent au téléphone des lectures de poésie, de théâtre, de littérature, de musique, “pour quelques minutes ou plus”… Il s’agit d’une initiative gratuite et ses artistes se sont tous portés benevoles.
Je me suis inscrite, animée par une certaine curiosité de “retrouver du théâtre”, ou une de ses textures, grâce à la présence de ces êtres mystérieux et fascinants qui sont pour moi les artistes de la scène. J’avoue que je ne m’étais pas plongée sur la longue liste des noms des artistes impliqué.e.s dans ce projet. Ce qui m’intéressais étant le plaisir de pouvoir faire cette nouvelle expérience, d’un théâtre qui vient chez moi, d’un théâtre qui ne se voit pas. Et qui est pourtant vivant, par une présence d’un corps-voix, d’un être voix: c’est ce que je pouvais imaginer.

Mon appel était prévu dans le créneau de 16h à 17h.
À 16h pile mon portable a sonné. Quand j’ai décroché, une voix douce m’a dit bonjour et demandé si j’étais Simona. Elle a ajouté qu’elle appelait pour le théâtre de la Colline. Ensuite, elle s’est présentée: “Je suis JANE BIRKIN“.
Une vague d’émotion m’a saisie. J’ai même pensé, que comme il s’agissait du théâtre, peut-être que non, que la personne qui était en train de me parler, n’était pas JANE BIRKIN, mais qu’il devait avoir eu une pièce (que j’ignorais!) où un personnage était Jane Birkin, et que là, on était en train de me proposer une partie de cette pièce (le cerveau face à l’extraordinaire trouve toutes les raisons pour rendre la réalité invraisemblable, ou bien vraisemblable…).

Jane Birkin m’a proposé des poèmes de Prévert, et notamment Les feuilles mortes, et le texte de La chanson de Prévert de Serge Gainsbourg qui s’en est inspiré, avec d’autres textes de ses chansons déchirantes. Je flottais, je me perdais et retrouvais dans sa voix et les tourbillons de ces poèmes, qui parlaient de distance, de séparation, de fin, de mort et de recommencement. Il y avait la vie, toute entière. À la fin de sa lecture, nous avons parlé, de notre présent, du confinement réciproque. Quand nous nous sommes saluées, c’était comme si la pesanteur avait été retirée de mon corps et la lumière déjà intense éclatait dans mon appartement. Ce n’était pas qu’une voix qui s’était présentée au creux de mon oreille. Tout un univers artistique et humain s’était condensé dans cette voix si parlante. L’art, c’est ça aussi, c’est surtout ça.

Je remercie Jane Birkin pour sa générosité et son indicible sensibilité. Je remercie Wajdi Mouawad et toute l‘équipe de La Colline pour m’avoir permis de faire encore expérience d’un art vivant et d’un moment de vie exceptionnel pour toujours.

 

Jane Birkin & Charlotte Gainsbourg live – 
La Chanson de Prévert, 2 avril 2017

 

©Simona Polvani, 6 mai 2020

par SIMONA POLVANI 

Traduit de l’italien par Simona Polvani et Maria Cristina Mastrangeli
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« Un danseur ne devrait pas danser, il devrait être dansé ». Les mots d’Endo Tadashi, danseur, élève de Ōno Kazuo, résument parfaitement la philosophie de la danse butō.

Le concept d’« être dansé » plutôt que « de danser » renvoie à l’abandon du corps, à la manifestation du mouvement né dans les profondeurs, instinctif, émotif, naturel, et pour cela nécessaire, devant lequel le processus décisionnel et la raison, qui le préside, sont relégués au deuxième plan. C’est dans l’abandon du rationnel que l’improvisation trouve l’espace nécessaire, en tant que composition instantanée et libération des codes. Si cette pratique est l’une des caractéristiques du performatif contemporain lato sensu, de la performance proprement dite au théâtre, de la danse à la musique, elle est la pierre angulaire du butō.

Il m’a été donné de vivre l’expérience de l’idéal sublime du « danseur dansé » en découvrant la danse butō du Japonais Masaki Iwana dans la performance PH 27-80 : Musiques Utopiques en clôture de l’édition 2015 du Festival En chair et en son Rencontres de la danse butō et de la musique acousmatique, au Cube-Centre de création numérique d’Issy Les Moulineaux.

La recherche sur les connexions existantes entre butō et musique acousmatique, s’est articulée autour de deux axes : théorique à travers des séminaires et colloques et artistique à travers vingt-quatre performances nées de rencontres entre compositeurs contemporains de musique acousmatique et danseurs butō, occidentaux et japonais, qui ont dansé à l’intérieur d’un « acousmonium » (ou orchestre de haut-parleurs).

Si les résultats étaient inégaux, la rencontre entre le danseur Masaki Iwana et le compositeur Denis Dufour s’est révélée particulièrement heureuse.

Pour leur performance, Denis Dufour a choisi sa pièce Musiques utopiques, troisième mouvement de l’œuvre PH 27-80 (2008, durée 32’14) créée à l’occasion du quatre-vingtième de Pierre Henry (né en 1927), pionnier de la musique concrète.

PH 27-80, créée à partir de quatre-vingt sons et de brèves séquences tirées de vingt-sept œuvres de Pierre Henry – d’où le titre – compose un univers de sons syncopés, percutants, qui se répètent dans un cycle à l’intérieur duquel opèrent variations sonores et vocales, dans un crescendo hypnotique, chamanique et rituel.

Dans cet univers sonore circulaire – rendu possible par la direction enveloppante du son diffusé par l’acousmonium – surgit Masaki Iwana. Comme souvent en danse butō, à l’exception de son sexe dissimulé, son corps est nu. Un fil très fin se devine sur ses hanches. Toutefois, au regard de la tradition, sa nudité paraît encore plus « nue », car elle n’est pas « neutralisée » par la peinture blanche avec laquelle les danseurs butō s’enduisent le corps. Son visage est en partie recouvert par de très longs cheveux noirs – il le restera pendant presque toute la performance – ainsi que par un petit masque blanc qui dissimule le nez et la bouche, tel que le portent beaucoup d’Orientaux et de Japonais en particulier, contre la pollution.

 

Dans la pénombre de la scène, dessinée par un cercle de lumière blafarde, la danse de Masaki Iwana commence au sol, dans une position fœtale. Avec des mouvements syncopés, le fœtus s’ouvre, gagne la posture verticale. Commence ainsi une lutte fiévreuse de tout son corps contre la gravité : en état d’extension constante, pieds tendus sur les demi-pointes tremblantes, bassin déplacé en avant, tête renversée et dos courbé en arrière, les bras qui se balancent en avant, puis en haut, s’allongent comme à toucher un ciel imaginaire. Le corps entier est un arc, parcouru par un mouvement saccadé qui devient sanglot, secousse, puis vague, toujours sinueux et tendu. Chaque muscle est contracté, sans répit. Une énergie magmatique irradie de chaque recoin du corps, des cheveux en bataille aux phalanges des doigts, des yeux cachés à la bouche dont on devine la respiration. La danse que nous propose Masaki Iwana est un déséquilibre perpétuel, une poussée, une propulsion, une tension vers l’immobilité par un mouvement fébrile, incessant, entre la lumière et l’ombre – le performeur se place souvent à la limite du cercle de lumière. C’est une conquête de la verticalité, une venue au monde chamanique, une origine, un cycle, une démesure, dans un corps qui se transcende, dépasse la matière pour disparaître enfin. Nous ne voyons plus le corps d’un homme, mais un mouvement incessant, une énergie sans fin, l’extase de la création et la fusion des formes plongées dans la musique, la respiration, le spasme du premier souffle.

masaki-iwana-en-chair-et-en-son-foto-fabrice-pairault-2Nous sommes désormais accoutumés à la nudité, malgré cela, chaque fois qu’elle est proposée sur la scène, je m’efforce de ne pas éluder la question : pourquoi ? Dans l’expérience du corps dansé de Masaki Iwana, la nudité a rendu raison à elle-même, comme une évidence, affirmant sa nécessité esthétique et ontologique. Dans le mouvement qui s’auto-génère, dans la tension spasmodique et dans la présence de chaque partie du corps, à elle-même –tous ceux-ci étant des principes constitutifs du butō – seul le nu permet au corps de laisser percevoir son dernier souffle, le spasme de sa vitalité irréductible en lutte contre la caducité de la matière. Nous sommes nus devant la vie comme nous sommes nus devant la mort.


Aujourd’hui, Masaki Iwana est un des danseurs de butō les plus appréciés au Japon et sur la scène internationale. Depuis 1975, année où il débute sa carrière de danseur, il s’est produit dans plus de cent-cinquante performances.


Images: Masaki Iwana, PH 27-80: Musiques Utopiques, photo de Fabrice Pairault, 2015.




La version en italien de cet article, intitulée Masaki Iwana. Il danzatore danzato dal butō est parue dans la revue italienne en ligne PAC – Magazine di Arte & Culture, le 9 novembre 2015. https://paneacquaculture.net/tag/masaki-iwana/

corpsdessinant_evenementielwebChers tous, amies et amis,

c'est avec enthousiasme que je vous invite à découvrir 
les "deux jours" de performance  CORPS DESSINANT 
que l'équipe EsPAS/Esthétique de la performance et des arts de la scène, 
dont je fais partie, a organisé au Musée des Arts et Métiers de Paris 
le 3 et 4 décembre, 
dans la cadre de l'exposition Machine à dessiner.


En tant que poétesse et/ou performeuse 
je participerai aux performances 
DisorientADN et Quelque chose est en train de se passer.

 

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DISORIENT 
vidéo installation et performance

de Ludivine Allegue et Valentina Lacmanović 
avec la contribution de Frédéric Mathevet et Simona Polvani

J’ai été invitée par Ludivine Allegue sur la première partie de la vidéo-installation et de la performance. J’ai écrit pour l’occasion un poème, qui est devenu matériau sonore à travers ma voix et la musique créée par Frédéric Mathevet, et que je mets en mouvement, inspirée notamment par le butō.

samedi 3 décembre, 14h45-15h45 
dimanche 4 décembre, 16h30-17h30 (avec ma mise en mouvement)
Église, Abside, salle du Pendule de Foucault – RDC

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ADN / DNA
live performance

de Romina De Novellis

performers
Alessandra Cristiani
Simona Polvani
Roddy Laroche Samsonoff
Thérèse Vu Xuan

samedi 3 décembre, 13h30-16h30, Atelier Énergie, 1° étage du Musée

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QUELQUE CHOSE EST EN TRAIN DE SE PASSER
Performance pour 12 danseuses et un public étendu

de Mélanie Perrier

Avec Marie BarbottinDoria Belanger, Camille Cau, Laurie GiordanoSusy ChetteauClaire MalchrowiczColine JoufflineauJune AllenSimona PolvaniKeiko Abe PotierAnnie Belet
dimanche 4 décembre 15h15-16h30, sur tout le 1° étage du Musée et jusqu’à l’escalier d’honneur

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Musée des Arts et Métiers
60, Rue Réaumur
75003 PARIS
*Dimanche 4 décembre entrée libre

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Pour en savoir plus  RDV sur les pages de l’équipe EsPAS et  du Musée des arts et métiers

http://www.institut-acte.cnrs.fr/espas/2016/11/14/le-corps-dessinant/

http://www.arts-et-metiers.net/musee/corps-dessinant

Le lien vers l’événement
https://www.facebook.com/events/1831320423770107/

Suivez les coulisses de l’exposition et partagez vos impressions avec la hashtag #Corpsdessinant sur les réseaux sociaux.

*En complément de ce week-end, une journée d’étude Geste et corps dessinant : un enjeu entre art et technique est programmée le mardi 6 décembre 2016.

J’espère que vous viendrez assister/participer/respirer/dessiner avec vos corps.

fullsizeoutput_126eQualche scatto e una preview dalle prove 
della performance di poesia sonora PASSI / errare è umano, 
durante la residenza allo Château Éphémère-fabrique sonore 
et numérique a Carrières-sous-Poissy (Francia).


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Quelques clichés et une preview 
de la performance de poésie sonore PASSI / errare è umano, 
depuis les répétitions pendant la résidence 
au Château Éphémère - fabrique sonore et numérique 
a Carrières-sous-Poissy.


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PASSI / errare è umano
testi /textes Simona Polvani
musica /musique Damiano Meacci
performers Simona-Damiano

 

Link for VIDEO PREVIEW PASSI